Non un solo filo di commento si può aggiungere all’affastellamento di ricordi, esegesi, agiografie, riconoscimenti- tutti più che meritati- rivolti in queste ore a Pippo Baudo, colui che ha praticamente inventato lo spettacolo televisivo italiano, attraversando sessant’anni di storia. Il di più sull’autore, sullo scopritore di talenti, sull’inventore di format, sull’annusatore dell’aria che circolava nell’Italia dagli anni sessanta, si può dire, fino a ieri, sarebbe un fastidioso pleonasma: rinviamo ai cento articoli, coccodrilli e speciali tv.
C’è però un Pippo Baudo che, nelle svelte celebrazioni delle prime ore dopo la scomparsa, non è stato sfiorato affatto, se non per un cenno all’avventura del 2001 chiamata “Democrazia Europea”, condivisa con
Andreotti, D’Antoni e Zecchino. Quello che manca all’appello, allora, è il Pippo Baudo politico. Anzi: democristiano.
Intanto perché se c’è un personaggio pubblico, fuori dal vasto parterre della politica, che possa fare da testimonial alla lunga stagione democristiana (sopravvivendole, addirittura) questo sicuramente è il dottor Giuseppe Raimondo Vittorio Baudo (detto Pippo) da Militello, in Val di Catania. E questo per la sua vocazione pop, nel senso dell’impatto con la platea immensa del pubblico mainstream, che riconosce in lui un interprete rassicurante dell’italianità, uno che sa ma non vuole sbatterti in faccia il suo sapere, mettendosi subito a tuo livello. Un livello molto pop. E così fu la DC, per i 46 anni di vita e di governo: una specie di condensato dell’italianità, con indole moderata, curiosa quel tanto che basta ma non amante delle rivoluzioni, capace di fare miracoli con il lavoro e di risparmiare in vista di tempi più bui, un tracciato lineare con epicentro la famiglia e la piccola comunità dei prossimi, quelli più vicini; cattolica e apostolica, ma senza integralismi, e parecchio indulgente con i peccati veniali o privatamente degradati a minori per non subire sensi di colpa.
Insomma: quella weltanschauung che Bernabei, grande direttore generale della Rai, impostò per il servizio pubblico. Popolare, sì, ma con dietro un pensiero, una visione, un servizio, perché la politica senza pensiero è una cosa effimera che si ripiega su sé stessa, autoreferente e pericolosa perché s’iscrive direttamente al partito che sostiene il callido progetto “con la Franza o con la Spagna, purché se magna”.
Come un partito popolare regge botta nel tempo solo se ha, oltre la superfice “facile” e condivisa trasversalmente, un sottotesto ideologico colto, strutturato, proiettato, altrimenti è destinato a tramonti repentini, così un Pippo Baudo regge alla corrosione veloce del medium televisivo se sotto la superfice bonaria capace di raccogliere il consenso di massa, c’è un’idea forte, che nel caso di SuperPippo è un’idea quasi pedagogica di tv, dove anche lo show è chiamato ad insegnare qualcosa.
Pippo Baudo fu democristiano naturaliter, dovendo scegliere una tribù avrebbe optato per quella andreottiana, probabilmente. Con Andreotti condivideva il gusto dell’ironia, il piacere della lettura, un certo pragmatismo nell’azione e una indiscussa capacità organizzativa. Oltre che, appunto, l’appartenenza democristiana.
Fu democristiano non per particolari convenienze di patronage: basti pensare che continuò ad esserlo dopo la fine di tutto, esponendosi non poco nel 2001 quando s’imbarcò nell’avventura neocentrista di Democrazia Europea avente come simbolo una vela stilizzata che recava a tutto campo lo scudo crociato della DC. Candidò al Parlamento sua moglie Katia Ricciarelli e non era affatto prevista una passeggiata di salute. E infatti non lo fu.
Scompare, dunque, un protagonista che ha saputo interpretare l’Italia del tempo adulto, del passaggio dal disincanto per le promesse non mantenute degli anni del boom, alla stagione dei conflitti, anche ferocemente dolorosi degli anni settanta, all’edonismo protervo e diffuso del decennio ottanta, all’implosione della politica dei giorni drammatici di Tangentopoli nei novanta, alla stagione berlusconiana, fino all’avvento del digitale e in politica dei Cinque Stelle, creati da Beppe Grillo, un comico che televisivamente aveva creato lui. Scompare quell’ultimo guizzo di cultura popolare, che sapeva parlare ai tanti avendo però idee molto precise sul contenuto delle sue parole. Che sapeva usare un testo e un sottotesto, come accadeva per i grandi partiti popolari. Come la DC. Sarà sepolto nella sua città d’origine, Militello in Val di Catania, il giorno in cui si celebrerà in Trentino il settantunesimo anniversario della morte di De Gasperi.