La dipendenza dai social network è un problema che coinvolge sia giovani sia adulti, generando una serie di disagi psicologici e relazionali. Porta a sintomi acclarati di ansia, stress, difficoltà a prendere decisioni, anche quelle basiche. A che punto siamo con le ricerche e i possibili interventi
Se ne discute da anni e alcuni, parlo di analisti, di ricercatori e di osservatori, che fanno prevalere l’approfondimento e il ragionamento sulla velocità superficiale, (un must dell’era moderna, anche da parte di alcuni media), aveva dato l’allarme.
A volte ascoltati, il piu delle volte liquidati come “i soliti allarmisti che si spaventano del progresso” oppure “boomer nostalgici”. L’utilizzo dei social network ha indubbiamente innumerevoli intenti positivi, tra questi il poter ricongiungere amici e/o familiari, aiutare a diffondere messaggi positivi di solidarietà e persino contribuire a salvare vite (ad esempio intervenendo subito per soccorrere qualcuno o trovando più facilmente donatori di sangue o organi). Tuttavia, il loro utilizzo ha anche implicazioni negative come sfogatoio delle più repulse frustrazioni di odio, e patologiche come la dipendenza da social network, o social media addiction.
Insomma, i social network altro non sono che degli strumenti, di per sé, non sono né “buoni”, né “cattivi”, il punto cruciale è proprio quello, ovvero saperli usare in un certo modo.
La dipendenza dai social network è un problema che coinvolge sia giovani che adulti, generando una serie di disagi psicologici e relazionali. Porta a sintomi acclarati di ansia, stress, difficoltà a prendere decisioni anche quelle basiche. Ormai è chiaro, l’uso eccessivo dei social media è comparabile alla dipendenza da droga.
Il DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) considera solo il disturbo da gioco su internet e, anche se la social media addiction non è, ancora, formalmente annoverata tra le attuali patologie psichiatriche riconosciute, l’utilizzo eccessivo e compulsivo dei social network è ormai considerato a tutti gli effetti una dipendenza comportamentale (come la dipendenza da sesso, da shopping compulsivo o la dipendenza da gioco d’azzardo).
Già nel 2015 uno studio di Andreassen verifica una totale similitudine tra dipendenze chimiche, dovute al consumo di droghe, e dipendenze comportamentali, analogia che può farci immaginare l’uso compulsivo dei social media come una vera e propria “droga social”.
I due noti ricercatori Andreassen e Pallesen hanno definito la dipendenza dai social network, come un “essere eccessivamente preoccupato dai social network, essere spinto da una forte motivazione a connetterti o a utilizzare i social network e devolvere loro così tanto tempo e sforzo da compromettere altre attività sociali, di studio o lavorative, relazioni interpersonali, e/o la salute psicologica e il benessere”. Lo studio ha inoltre evidenziato una correlazione tra l’utilizzo dei social e la compromissione del processo decisionale, che è di norma carente nelle persone tossicodipendenti.
Anche gli studiosi dell’università del Michigan hanno misurato la dipendenza psicologica da Facebook su un campione di 71 persone. Hanno usato un test psicologico basato sul gioco d’azzardo che serve a osservare i meccanismi decisionali, sono quindi stati sottoposti all’Iowa Gambling Task. Dal test è emerso che a prendere le decisioni peggiori sono state le persone che eccedono nell’uso dei social. La correlazione tra decisioni sbagliate e dipendenza da social è risultata analoga a quella, già nota, tra cattive decisioni e la dipendenza da oppioidi, cocaina, metanfetamine e altre droghe.
Quando parliamo di “social media addiction”, parliamo di una condizione psichica di dipendenza provocata dall’interazione tra una persona e una sostanza tossica e in questo caso nello specifico la sostanza tossica sarebbe rappresentata appunto dai “social network”. Questo legame così intenso con i social si rinforza grazie all’istantanea gratificazione che da questi deriva, gli stimoli che riceviamo all’udire lo squillo di una notifica, o ancora osservare il numero dei “like” aumentare, stimola la produzione di ormoni quali le endorfine, la serotonina e l’ossitocina. Gli stessi ormoni che si producono quando facciamo sport o in seguito ad una corsa, o ancora quando abbracciamo un amico o quando la nostra squadra del cuore vince. Di contro, però, il tempo eccessivo trascorso sui social fa aumentare anche la produzione degli ormoni dello stress come il cortisolo, e dello stesso ormone prodotto in seguito all’assunzione di droghe, la dopamina, responsabile della stabilizzazione di una dipendenza.
Diversi studi negli ultimi anni sono stati condotti per cercare di chiarire se esiste una correlazione tra l’abuso dei social e la depressione. Ciò che sembra essere certo è che un utilizzo eccessivo di queste piattaforme può dar vita a fenomeni di ansia sociale, la ricerca continua di seguaci e di “like” scatenerebbe l’ansia di ricevere continua approvazione sociale, dando vita a forme di stress più o meno invalidanti. Si tratta di comportamenti non funzionali che possono compromettere la nostra vita affettiva e le capacità di relazionarsi con gli altri.
Quali sono i segnali di allarme? Non usciamo più di casa senza il telefono che costantemente ha la batteria scarica, in bagno ci fa sempre compagnia lo smartphone, ai concerti passiamo più della metà del tempo a fare foto e video da caricare senza goderci i concerti con i nostri occhi, anche a tavola lo smartphone è sempre presente e ci porta ad isolarci e trascurare la compagnia “in carne ed ossa”, il primo gesto che compiamo al mattino appena svegli è quello di allungare la mano alla ricerca del telefonino per sbirciare i nostri profili.
È tempo di auto-imporsi determinate regole quali ad esempio rimuovere dalla schermata home tutte le applicazioni che si intende evitare, impostare in scale di grigio, sembra infatti che colori come il rosso ed il blu spingano in maniera inconsapevole a controllare continuamente il display. Andare a correre o in palestra lasciando il telefonino a casa, spegnere lo stesso mentre siamo a tavola.
È inutile far finta di nulla, il fenomeno riguarda i giovani in modo esponenziale. Diventa quindi essenziale la collaborazione tra genitori, educatori e bambini può rappresentare una strategia efficace per migliorare la sicurezza e la privacy online dei minori. In particolare, dallo studio emerge chiaramente il fondamentale ruolo dei genitori nella crescita e nella formazione dei giovani nell’era digitale e la necessità di fornire un’educazione digitale a tutte le famiglie affinché possano supportare i propri figli in modo consapevole e competente.
Inoltre, con l’avvento di questi novelli chatbot siamo ad un punto di quasi non ritorno se addirittura Sam Altman, ad di OpenAI, ha espresso riserve riguardo all’utilizzo di ChatGpt per scopi terapeutici o di supporto emotivo. Il manager è intervenuto nel corso di una puntata del podcast del conduttore americano Theo Von, dove ha evidenziato l’assenza di un quadro giuridico o politico che tuteli la privacy delle conversazioni più delicate degli utenti con l’IA. “Le persone parlano delle loro questioni più intime con ChatGpt”, ha detto Altman, “soprattutto i giovani, lo intendono come terapeuta, life coach. Hanno problemi relazionali e si chiedono ‘cosa dovrei fare?’ Al momento, se parli di queste situazioni con uno specialista, esiste il segreto professionale, la riservatezza tra medico-paziente, così come quella legale. Ma non abbiamo ancora capito come funziona con ChatGpt”.
Uno studio globale condotto dal Sapien Labs attraverso il Global Mind Project, pubblicato qualche giorno fa sul Journal of Human Development and Capabilities, ha analizzato i dati di oltre 100.000 giovani tra i 18 e i 24 anni e ha evidenziato una correlazione significativa tra il possesso precoce di uno smartphone (prima dei 13 anni) e un peggioramento della salute mentale in età adulta. I principali risultati dello studio sono stati l’evidenza dei sintomi più frequenti: pensieri suicidi, aggressività, distacco dalla realtà, scarsa regolazione emotiva, bassa autostima. I fattori di rischio conseguenti sono: accesso precoce ai social media (responsabile del 40% degli effetti negativi); cyberbullismo (10%); disturbi del sonno (12%); relazioni familiari difficili (13%) e anche gli oculisti lanciano l’allarme perché visitano sempre piu bambini con difetti visivi e della motilità oculare per l’utilizzo dello smartphone in tenera età. Lo studio ha rilevato anche sintomi non tradizionali come allucinazioni, distacco dalla realtà e difficoltà nella regolazione emotiva, che spesso sfuggono agli screening standard per depressione e ansia.
Qui abbiamo analizzato i giovani di 18-24 anni che avevano ricevuto il loro primo smartphone a 12 anni o meno, ma, personalmente, ho potuto constatare che miei conoscenti danno già a 4/5 anni i cellulari ai propri figli per farli stare buoni a giocare ma, è cosa nota, anche far fare incursioni e balletti su Tiktok e sappiamo bene poi a quali insidie esponiamo questi bambini.
Ma il problema sono proprio gli adulti, che sembrano impazziti piu dei figli.
Sempre più italiani si affidano ai social anche per aggiornarsi sulle ultime notizie, Instagram, Facebook, Telegram e X sono le piattaforme più utilizzate per il consumo di news, spesso attraverso post e video condivisi da testate giornalistiche. Eppure, basta che un imbecille, che sia o meno un leone da tastiera, apra un canale personale e dice panzane e lanci notizie false che i piu abboccano. Tuttavia, la crescente diffusione delle fake news e la polarizzazione dei contenuti pongono nuove sfide nella ricerca di fonti affidabili e per contrastare la disinformazione, molti utenti, finalmente, stanno imparando a verificare le notizie attraverso fonti ufficiali e a consultare più canali di informazione prima di formarsi un’opinione.
E poi abbiamo i cosiddetti Killfie o SelfieMortali.
Nell’oscillazione tra narcisismo e dipendenza, le cosiddette “SelfieDeaths” indicano i decessi causati da una condotta a rischio attuata col preciso scopo di scattare un selfie sottostimando la pericolosità. Il fenomeno evidenzia una crescente tendenza a mettere a rischio la propria vita per ottenere visibilità sui social media. Uno degli ultimi casi nella nostra nazione, purtroppo, è stato quello di Gaia, la giovane ragazza morta sul fiume Piave, in provincia di Belluno, mentre cercava di scattare un selfie, rimanendo schiacciata da un masso e deceduta dopo essersi arrampicata in una zona molto a rischio ma molto “cool” su Instagram. Come si dice ora? Ah già, molto “instagrammabile”, e questo è solo uno dei tanti tristi esempi.
Infine, si parla sempre poco dei cosiddetti “Hikikomori”, termine giapponese che significa “isolamento sociale volontario prolungato”, ragazzi chiusi giorni e giorni nella loro stanza che non vogliono interagire con il mondo esterno. Ci sono centinaia di migliaia di ragazzi nel mondo tra gli 11 e i 19 anni che non vanno a scuola e restano chiusi in casa spesso mangiando nella loro stanza senza contatto con il resto della famiglia. È medicalmente certo che è indispensabile intervenire nei primi 4/6 mesi di questo comportamento altrimenti il ritiro dal mondo diventa cronico. E cosa fanno i genitori? È inutile ribadire quanto di fatto tutti sanno, questo è anche frutto di anni di disattenzione reale, altro che amore, perché l’amore vero verso un figlio è star vicino loro sempre e parlarci, esser anche rigidi quando è necessario e non accontentarli sempre e comunque in modo insano, non essere “amici”, ma molto di più, ovvero genitori appunto, quindi, di fatto, prendersene davvero cura. Comunque, il fenomeno ormai sta divenendo esponenziale, allora, se non si è intervenuti prima (come parlarci e molto, insegnare abilità sociali fin dalla giovane età, creare un ambiente familiare empatico, limitare il tempo trascorso online e promuovere l’attività fisica), oggi sarebbe anche dannoso solo colpevolizzare o giudicare ma piuttosto creare un ambiente di supporto che promuova il benessere e il graduale reinserimento sociale, senza forzature. È necessario rivolgersi ad uno psicologo o psicoterapeuta esperto proprio in Hikikomori.
Nella società odierna siamo a una svolta, l’imprevedibilità mista a certezze, è questa la cifra di questi ultimi tempi in materia di approccio a tutto quello che ci circonda. Eravamo abituati a ragionare con un filo di logica ma oggi non è piu valido. Quello che sembrava ovvio o almeno perfettibile, sia esso nell’approccio al lavoro, nel difendere i diritti ma non dimenticare mai i doveri, nell’educazione dei giovani, nell’attenzione ai bambini, nella formazione degli adolescenti, nella gestione quotidiana del digitale, nell’approccio con i media, nell’uso dei social e anche nei rapporti consolidati in geopolitica e nel multilateralismo economico, ora non lo è piu e tutto cambia in poche ore. Allo stesso tempo quello che oggi può sembrare superato, può mutare ulteriormente in pochi giorni. Un frullatore pazzesco di contraddizioni. A volte fatte ad arte e altre per manifesta incapacità e/o superficialità dilagante.
In questo quadro bisogna sempre e in tutti i campi, con approcci piu diversificati e con un ventaglio di considerazioni da analizzare, assumere decisioni in base a ciò che potrà o non potrà succedere. Solo così, prevenendo oggi quello che non si è previsto prima, si può far cambiar rotta ad una deriva che tutto tiene e riguarda tutto e tutti.
(Nda – Per la stesura di questo articolo, come per tutto quello che scrivo, non ho utilizzato nessun strumento della cosiddetta intelligenza artificiale. Ricerca, analisi, scrittura e infine revisione sono avvenute in modo 100% originale, per garantire accuratezza di informazione, sicurezza di eventuali fonti ed espressione del proprio libero pensiero)