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Interferenze straniere. Così l’operazione Autumn Shield a Canberra riaccende la tensione nell’Indo Pacifico

In Australia l’arresto di una presunta spia cinese svela una nuova attività di intelligence di Pechino sul territorio, questa volta legata allo spionaggio di una comunità buddhista vietata in Cina. Cosa racconta l’operazione Autumn-Shield

A Canberra, l’arresto di una residente permanente in Australia, fermata con l’accusa di aver raccolto informazioni sensibili per conto del Public Security Bureau di Pechino, muove un ulteriore pezzo nello scacchiere Indo-Pacifico, oggi al centro di una competizione geopolitica senza esclusione di colpi, tra operazioni di spionaggio e interferenza, interdipendenze economiche e lotte di influenza tra Washington e Pechino.

La donna, il cui nome è mantenuto segreto dalle autorità australiane, avrebbe agito all’interno della comunità buddhista Guan Yin Citta, una realtà vietata in Cina ma con ramificazioni in tutto il mondo, Canberra compresa. È qui che, secondo quanto emerso, si sarebbe consumata l’operazione di intelligence cinese.

L’operazione, ribattezzata Autumn-Shield, è frutto di una lunga indagine partita a marzo 2025, su input dell’Australian Security Intelligence Organisation (Aio). Dopo mesi di attività, culminate con perquisizioni e sequestri di dispositivi elettronici, la donna è stata formalmente incriminata in base alle leggi anti-interferenza introdotte nel 2018. Queste norme, rigorose e senza precedenti in Australia, prevedono fino a 15 anni di carcere per chi tenta di intromettersi negli affari interni del Paese a vantaggio di potenze straniere.

La minaccia che non si vede

L’arresto ha scatenato una reazione ferma e unanime da parte delle autorità di sicurezza nazionali. Stephen Nutt, Assistant Commissioner dell’Australian Federal Police, ha definito la vicenda “una prova della gravità della minaccia che mina la democrazia e la coesione sociale”. Ancora più tagliente il giudizio di Mike Burgess, direttore generale dell’Asio, che ha parlato senza mezzi termini di “un assalto ai valori e alla sovranità australiana”.

Ben prima dell’operazione Autumn Shield, l’intelligence australiana aveva lanciato l’allarme riguardo le interferenze estere, in particolar modo cinesi, sul proprio territorio e condotta a colpi di cyberattacchi, furti di proprietà intellettuale, spionaggio economico e manipolazione delle comunità di diaspora. Attività che coinvolgerebbero non più solo i governi o le infrastrutture critiche, ma anche associazioni culturali, religiose, piccoli laboratori di ricerca.

Burgess ha messo in guardia contro un “interesse malevolo” da parte dei servizi stranieri verso le tecnologie nucleari condivise tra i Paesi dell’accordo Aukus (Australia, Regno Unito, Stati Uniti), un segnale evidente di come la competizione tecnologica e militare sia al centro di una strategia più ampia.

Il costo nascosto dello spionaggio

Come ha spiegato Burgess durante l’Annual Threat Assessment, l’Australia entra in un’era di fragilità strategica senza precedenti. Spionaggio, interferenze straniere, violenze politicamente motivate e cyber-sabotaggi stanno convergendo in un’unica, instabile miscela che pone Canberra di fronte alla più complessa costellazione di minacce della sua storia moderna. Il rapporto congiunto pubblicato dall’Asio conferma l’entità del problema: l’Australia perde circa 8 miliardi di dollari all’anno a causa di attività di spionaggio e interferenze straniere. Dietro a questi numeri ci sono dati sottratti a università e agenzie governative, innovazioni tecnologiche sottratte e ricerche scientifiche non ufficiali sul territorio australiano.

L’associazione buddhista Guan Yin Citta e l’operazione Autumn-Shield sono segnali di un aumento dell’aggressività operativa e di ingerenza cinese sul territorio australiano, con Pechino che persegue un duplice interesse: il perseguimento del controllo interno anche al di fuori dei propri confini nazionali e il confronto geopolitico, tecnologico e nucleare con i Five Eyes, l’alleanza Aukus.


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