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Come la deterrenza nucleare cambia nell’era digitale. L’analisi di Caruso

Di Ivan Caruso

Nel 1962 Kennedy e Kruscev comunicavano attraverso canali diplomatici riservati durante la crisi dei missili di Cuba. Nel 2025 Trump e Medvedev si scambiano minacce nucleari su piattaforme digitali visibili al mondo intero. Un caso di studio inquietante su come la deterrenza nucleare, nata per prevenire conflitti, possa trasformarsi in un pericoloso teatro di provocazioni pubbliche. L’analisi del generale Ivan Caruso, consigliere militare della Sioi

L’escalation verbale tra Donald Trump e Dmitry Medvedev, culminata con il dispiegamento di due sottomarini nucleari statunitensi “più vicini alla Russia”, riaccende il dibattito su un interrogativo fondamentale: quando la deterrenza nucleare si trasforma da strumento di pace in meccanismo di provocazione?

Il paradosso della deterrenza moderna

La teoria della deterrenza nucleare, formulata durante la Guerra Fredda, si basa su un principio apparentemente controintuitivo: la credibile minaccia di severe conseguenze ha il potere di dissuadere altri stati dall’attaccare con le loro armi nucleari, attraverso la promessa di rappresaglia e la possibilità di mutua distruzione assicurata. Tuttavia, l’episodio dei sottomarini Trump solleva una questione più profonda: quale equilibrio esiste tra deterrenza credibile e provocazione destabilizzante?

Il dispiegamento pubblico annunciato da Trump rappresenta una rottura con le tradizionali pratiche di deterrenza. Mentre i sottomarini nucleari sono da tempo riconosciuti dal dipartimento della Difesa come la componente più sopravvivente della triade nucleare statunitense, la loro efficacia deterrente risiede proprio nella capacità di rimanere nascosti. L’annuncio pubblico di Trump trasforma questi asset da strumenti di deterrenza silenziosa in armi di comunicazione politica.

La “teoria del pazzo” rivisitata

Non è la prima volta che un presidente americano ricorre a tattiche di imprevedibilità nucleare. La “teoria del pazzo” è comunemente associata alla politica estera del presidente americano Richard Nixon, che cercava di far credere ai leader dei Paesi comunisti ostili che Nixon fosse irrazionale e volatile per evitare provocazioni. Secondo le memorie del suo capo di staff H.R. Haldeman, Nixon spiegò: “La chiamo la teoria del pazzo, Bob. Voglio che i nordvietnamiti credano che sono arrivato al punto in cui potrei fare qualsiasi cosa per fermare la guerra. Faremo solo passare loro la voce che per l’amor di Dio, sapete che Nixon è ossessionato dal comunismo. Non possiamo trattenerlo quando è arrabbiato — e ha la mano sul pulsante nucleare”.

Trump sembra aver adottato una versione moderna di questa strategia, ma con una differenza cruciale: mentre Nixon agiva in relativa segretezza, Trump opera nell’era dei social media, dove ogni mossa viene amplificata e può essere fraintesa. Gli esperti sottolineano l’urgente necessità di canali di comunicazione affidabili e di moderazione nel discorso pubblico, poiché la deterrenza strategica dovrebbe prevenire la guerra, non provocarla.

Il dilemma dell’era digitale

La crisi attuale illustra come la logica della deterrenza nucleare della Guerra Fredda potrebbe non tenere conto di tutte le eventualità del XXI secolo. I social media hanno trasformato radicalmente il panorama della diplomazia nucleare, creando nuove dinamiche di escalation e de-escalation. Durante la guerra in Ucraina del 2022, l’ordine di Putin di aumentare il livello di allerta nucleare del Paese è diventato virale su Twitter, generando ansia per una crisi nucleare tra Stati Uniti e Russia.

Questa digitalizzazione della deterrenza crea un paradosso: mentre la trasparenza può rafforzare la credibilità delle minacce, essa può anche amplificare i rischi di cattiva interpretazione e escalation involontaria. Il caso Trump dimostra come i social media possano trasformarsi da strumenti di comunicazione in amplificatori di tensioni, creando maggiore polarizzazione e complicando i canali diplomatici tradizionali.

L’asimmetria della risposta russa

La reazione russa al dispiegamento dei sottomarini Trump è stata caratterizzata da un silenzio ufficiale significativo. Il Cremlino, insieme a Medvedev, è rimasto in silenzio non commentando l’annuncio. Questo può essere interpretato come una forma sofisticata di deterrenza: non reagendo alle provocazioni, Mosca evita di alimentare il ciclo di escalation verbale.

La risposta è arrivata attraverso l’annuncio di Putin del dispiegamento di missili ipersonici Oreshnik in Bielorussia. Questa mossa rappresenta la classica logica della risposta asimmetrica: invece di rispondere direttamente alla provocazione navale americana, la Russia ha scelto di rafforzare le proprie capacità strategiche in una regione geograficamente sensibile per l’Europa.

Il paradosso della deterrenza reattiva

L’efficacia della deterrenza dipende dalla credibilità, ma anche dalla proporzionalità. Durante la Guerra del Vietnam, gli Stati Uniti possedevano il più grande e capace arsenale nucleare al mondo. Erano invischiati in una guerra brutale e prolungata con uno Stato che non possedeva armi nucleari, e anche in queste circostanze, i tentativi dell’amministrazione Nixon di diplomazia nucleare coercitiva fallirono miseramente.

Il caso attuale presenta una dinamica diversa: non si tratta di diplomazia coercitiva proattiva, ma di deterrenza reattiva. Trump ha dispiegato i sottomarini non per estorcere concessioni sull’Ucraina, ma come risposta diretta alle minacce nucleari di Medvedev, che aveva sfidato l’ultimatum americano affermando che “la Russia non è Israele e nemmeno l’Iran” e facendo riferimento al sistema “Dead hand” di rappresaglia automatica. Questo rappresenta un pericoloso ciclo di escalation verbale dove ogni minaccia genera una contro-minaccia più visibile.

Verso una nuova dottrina di deterrenza

L’episodio Trump-Medvedev evidenzia la necessità di ridefinire i parametri della deterrenza nucleare per l’era digitale. Il mondo sta assistendo a una tendenza di Paesi che integrano sempre più concetti di deterrenza convenzionale e nucleare, piani di guerra e retorica minacciosa. Questa convergenza rende più difficile distinguere tra segnali deterrenti e preparativi per un conflitto reale.

La vera deterrenza del XXI secolo richiede un equilibrio delicato tra visibilità e riservatezza, tra fermezza e moderazione. Mentre la deterrenza pubblica può rafforzare la credibilità, essa deve essere accompagnata da canali diplomatici privati che consentano la de-escalation quando necessario.

La diplomazia nascosta come antidoto

L’escalation Trump-Medvedev dimostra che nell’era dei social media, la vera arte della deterrenza dovrebbe risiedere non in ciò che si dice pubblicamente, ma in ciò che si comunica attraverso canali nascosti. Ristabilire canali di comunicazione attraverso piattaforme neutre rimane critico per la cessazione della corsa agli armamenti nucleari e la sicurezza globale.

La lezione più importante di questa crisi è che la deterrenza efficace non si misura dalla spettacolarità delle minacce pubbliche, ma dalla capacità di mantenere la pace attraverso la combinazione di fermezza strategica e saggezza diplomatica. In un mondo sempre più connesso e volatile, la vera deterrenza potrebbe richiedere meno dichiarazioni sui social e più telefoni rossi.

 


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