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Benedetta Europa! La premessa è ritrovare i cattolici. Il commento di Chiapello

Di Giancarlo Chiapello

Servirebbe ricordare un passaggio della storia che torna utile, l’inscindibile relazione tra le idee ricostruttive della democrazia cristiana, ossia la riflessione sulla presenta autonoma e il così detto “Codice di Camaldoli” in cui i cattolici (non un buonista assemblea aperta a chicchesia modello Babele) costruirono il sestante per affrontare il futuro andando a confrontarsi e pure scontrarsi, senza timori e sudditanze, con esso con le altre identità, presenze, ideologie. Per ritrovare la premessa per questa benedetta Europa bisogna allora ritrovare i cattolici

In Francia Dominique de Villepin, già ministro degli Esteri, a luglio ha scritto che “senza un’evoluzione della nostra governace, la prossima crisi ci troverà impotenti e divisi come la precedente. L’Europa politica deve acquisire maggiore maturità e capacità di azione. Infine è giunto il momento di rifondare con chiarezza e reciprocità le nostre relazioni con gli Stati Uniti”.

Dunque, per dirla con lo slogan usato dall’European Democrat Students, il movimento studentesco del PPE, “make Europe think again”: su questa linea di ricerca di maturazione e di riposizionamento dell’alleanza atlantica a partire dalla riflessione sull’Ue che dovrebbe prevedere quella postura in piedi definita e incarnata a suo tempo dall’ex leader della Democrazia Cristiana italiana Aldo Moro, in Italia, nelle scorse settimane ci sono stati alcuni interventi utili ad essa, in particolare se ne possono prendere in considerazione tre, di Romano Prodi, Mario Draghi e Giorgia Meloni.

Proviamo a cercare ciò che manca approfondendo in due episodi che vogliono provare ad accompagnare una riflessione sull’Europa.

Il primo, che era già a suo tempo una sorta di figura tecnica prestata alla politica, in un’intervista al quotidiano La Repubblica del 27 agosto, sostanzialmente dimenticando di essere il padre dell’allargamento senza riforma dell’Ue, dopo aver parlato, oltre alle guerre e alla necessaria difesa comune, di irrilevanza e umiliazione degli europei di fronte a Trump, di rischio autoritarismo sia negli Usa sia in Italia anche per la debolezza dell’opposizione (un refrain classico questo quando, nella polarizzazione italiana, costruita su “pronipoti” post fascisti e post comunisti, al governo va la destra) afferma e propone “facciamo un grande referendum informale e chiediamo alle persone: volete un’Europa in grado di decidere?”

“Volete togliere l’unanimità che è nemica della democrazia? Di fronte alle grandi scelte, la passione per l’Europa ritorna perché si fa politica solo se si affrontano i veri problemi. Bisogna scegliere di decidere, oppure andare a casa e fare dell’Unione Europea un semplice trattato commerciale”.

Insomma l’ex Presidente della Commissione europea salverebbe l’Europa attraverso un cambio di meccanismo di funzionamento con un tipico approccio tecnocratico, sempre fedele alla sua storia di padre, insieme a Silvio Berlusconi, del bipolarismo all’italiana che sta entrando in crisi, puntando sul decisionismo senza lasciar capire cosa sia un “referendum informale”: l’informalità potrebbe essere un’espressione della strisciante sfiducia dei popoli tipica di certo progressismo che si ricollega abbastanza bene, in fin dei conti, con quello contenuto del “Manifesto di Ventotene” da carattere ideologico?

L’ex presidente della BCE, tecnico in precedenza chiamato alla guida del governo a Roma stante una crisi politica, è invece intervenuto al Meeting di Rimini organizzato dal movimento Comunione e Liberazione, ormai uno dei principali eventi cattolici europei, se non proprio il principale: il suo discorso, più originale, ha un taglio politico-economico e parte dal riconoscimento della fine dell’illusione che la mera dimensione economica europea portasse sic et simpliciter potere geopolitico e riconosce in un passaggio, dopo aver parlato di Europa spettatrice, di Cina che non la considera partner alla pari, di impotenza di fronte al massacro di Gaza, esattamente ciò che mette in crisi molto velocemente il ragionamento di Prodi forse meno legato alla realtà dei fatti che hanno a che far con i popoli: “non è sorprendente che lo scetticismo nei confronti dell’Europa abbia raggiunto nuovi picchi. Ma è importante chiedersi quale sia veramente l’oggetto di questo scetticismo” pur rimarcando che questo non riguarderebbe i valori fondativi, democrazia, pace, libertà, indipendenza, sovranità, prosperità, equità, ma la capacità di difenderli.

Qui si pone già una prima domanda: tale difesa è efficace solo arrivando all’estrema considerazione della difesa in armi senza avere più consapevolezza di ciò che si difende che in realtà dovrebbe venire prima?

L’analisi è, comunque, puntuale e si conclude con la considerazione che il mondo in cui è nata l’Europa ed ha prosperato è finito e quindi deve cambiare.

Attraverso diversi passaggi legati a settori ed azioni concrete indica la via economicista ma conclude dimenticando che la strada della democratizzazione delle istituzioni europee, che vide l’impegno proprio di Moro col suo avvio con l’introduzione del suffragio universale del Parlamento europeo, si è interrotta da molto tempo.

Innanzitutto manca un metodo per ritrovare il senso ed il sogno europei come fecero i padri fondatori democratico cristiani, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schuman che non si attardarono a contrapporre o cercare mediazioni attraverso una mera tattica politicista e moderatista, non erano “politici di centro” ma erano centristi (nel senso sturziano, il centrismo è popolarismo e viceversa) perché avevano un’identità chiara che, alla fine è ciò che manca ai citati interventi: infatti la loro tradizione politica cioè quella popolare e democratico cristiana non è indifferente al benessere dei popoli ma prende sul serio i popoli anche e soprattutto quando sono inquieti per non consegnarli non solo allo scetticismo ma a sistemi polarizzati che, alla fine, hanno dimostrato tutti i loro limiti trasformando la politica in una sorta di barca che più che avanzare sbanda pericolosamente di volta in volta su entrambi i lati.

Sul metodo al Meeting capitava una cosa importante, guardandone le fotografie, alla luce del ruolo dei cattolici nella costruzione europea, si incontravano i vertici di numerosi movimenti e associazioni cattoliche appartenenti ad un arcipelago da tempo tenuto fratturato: allora ecco che servirebbe ricordare un passaggio della storia che torna utile, l’inscindibile relazione tra le idee ricostruttive della democrazia cristiana, ossia la riflessione sulla presenta autonoma e il così detto “Codice di Camaldoli” in cui i cattolici (non un buonista assemblea aperta a chicchesia modello Babele) costruirono il sestante per affrontare il futuro andando a confrontarsi e pure scontrarsi, senza timori e sudditanze, con esso con le altre identità, presenze, ideologie.

Per ritrovare la premessa per questa benedetta Europa bisogna allora ritrovare i cattolici!


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