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Merz corre sulla Difesa con l’aiuto dell’Ue. Ma la Francia fatica a tenere il passo

Di Fabrizio Braghini

Il sistema europeo resta improntato alla concorrenza e alla disciplina fiscale, ma le emergenze di sicurezza stanno imponendo strumenti innovativi e deroghe temporanee. In particolare, la Germania ha scelto una traiettoria di forte aumento della spesa militare, puntando a un ruolo di leadership continentale. La Francia, al contrario, fatica a tenere il passo

Da una lettura delle numerose iniziative e normative europee in vigore, si può constatare come nella complessità del sistema europeo permane una diffusa una cultura e un impianto legislativo dove continuano a prevalere principi come concorrenza e debito rispetto a situazioni nuove e di emergenza come la sicurezza. Si procede comunque tra prudenze e salti in avanti, spesso con eccezioni e misure temporanee emergenziali. Il fatto positivo è che qualche tabù è stato progressivamente superato per affrontare con strumenti più adeguati le sfide emerse nel convulso contesto internazionale. Rientra in queste considerazioni la Readiness nella sicurezza, intesa nella sua ampia definizione di readiness militare e civile, economica e tecnologica. Proprio in questo campo si assiste ad una progressiva evoluzione anche con accelerazioni, motivate dalla consapevolezza di disporre di nuovi strumenti a supporto dei Paesi membri, della competitività dell’economia, della tutela degli interessi internazionali della Ue, della sicurezza. In questo contesto il settore della difesa è in continuo movimento, come si evidenza dal dibattito sull’Ucraina, il raggiungimento del livello di spesa difesa del 2% del Pil da parte dei Paesi Nato, dall’attivazione in corso del pacchetto di nuovi strumenti Ue come Rearm/Readiness 2030, mentre a livello nazionale si evidenzia il recente attivismo della Germania.

Berlino, con l’approvazione in Costituzione dell’esclusione della Difesa dal vincolo di spesa dell’1% del Pil, può beneficiare di un considerevole spazio fiscale per accrescere gli investimenti della sua difesa. Il cancelliere Merz sta perseguendo una politica volta ad assumere un ruolo centrale e di leadership in Europa, e trattare alla pari con Stati Uniti, Cina e Russia. Grazie al debt brake diventa possibile richiedere per la Bundeswehr fino a 378 miliardi di euro di prestiti sul mercato tra il 2025 e il 2029.

Le misure europee di incentivazione approvate quest’anno, come Rearm/Readiness 2030, prevedono sia prestiti, come Safe (20 Paesi, tra i quali l’Italia ma non la Germania hanno richiesto la totalità dei 150 miliardi previsti dal pacchetto), sia una deviazione temporanea dal Patto di Stabilità consentendo spazio fiscale per fondi nazionali aggiuntivi. La flessibilità consente di non conteggiare investimenti aggiuntivi nella difesa intesa con ampia definizione, in 4 anni, con un limite dell’1,5% annuo del Pil. La National escape clause (Nec) verrà attivata da 15 Paesi, coordinati dal Consiglio Ue, con alcune condizionalità quali soddisfare i parametri del 3% del rapporto deficit/Pil e del 60% del debito/Pil (è il caso di Bulgaria, Croazia, Lettonia, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Lituania, Svezia, Danimarca, Irlanda) o con traiettoria della spesa primaria netta prevista per circostanze eccezionali. La valutazione sui percorsi dei Paesi e sulla sostenibilità del debito è di competenza del Consiglio, che emana raccomandazioni a maggioranza qualificata rafforzata, con effetti differenziati per Paese. L’Ue stima, forse ottimisticamente, che si crei uno spazio aggiuntivo fino a 650 miliardi nel quadriennio. La Germania, come riportato dal Consiglio Ue in luglio, non ha finora richiesto l’attivazione della Nec, in attesa della finalizzazione del piano di riforma strutturale fiscale di medio termine.

Secondo le previsioni budgetarie per la Bundeswehr, si prevede di anticipare al 2029 l’obiettivo Nato 2035 del 3,5% della difesa sul Pil. Si tratta di un incremento imponente, con effetti di stimolo sull’economia, se si considera l’attuale livello del 2% di spesa nella difesa. Si passerebbe quindi da 95 miliardi di euro (includendo l’Ucraina) nel 2025 a 162 miliardi nel 2029 (+400% rispetto al 2020). Il totale della spesa cumulata è nell’ordine di 500 miliardi, inclusi 167 miliardi per gli investimenti in sistemi difesa (402 fino al 2041).

Con questo sforzo finanziario si allungano le distanze con la Francia che, nonostante l’andamento in crescita del budget di questi anni, incontra difficoltà a mantenere la precedente e ampia traiettoria di incremento, e domani a inseguire la traiettoria tedesca. E qui si ritorna alla, chiamiamola così, incongruenza tra la necessità di investire con urgenza in un adeguato deterrente difesa, i vincoli dei parametri del Patto di Stabilità, e anche gli obiettivi Nato. Se Berlino raddoppia su Parigi, la sua forza contrattuale porterà necessariamente a nuovi equilibri e implicazioni sulle alleanze tra i Paesi europei e in particolare nel rapporto oltre Reno. In Francia, il dibattito verte su come anticipare 6,5 miliardi (dichiarato “sforzo eccezionale”) nel quadro della prevista attualizzazione della Legge di Programmazione Militare 2024-2030; un modesto incremento dello 0,2% del Pil nel 2026-2027, e conseguire l’obiettivo di 64 miliardi nel 2030. Il governo prevede tagli alle spese — in particolare per la sanità — come unica soluzione possibile, ma che è considerata destabilizzante per Macron. Soluzione peraltro controversa a fronte della debolezza dell’economia nazionale, che si trova a fronteggiare diffusi malumori, volatilità politica, criticità e perdita di competitività nella società. 


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