Georgia e Moldova costituiscono due bocconi molto appetibili – e anche piuttosto facili rispetto all’Ucraina – per le mire imperiali di Putin. I droni sulla Polonia sembrano un segnale anche a questi due piccoli Paesi, assolutamente meno protetti rispetto a eventuali operazioni militari di Mosca. L’analisi di Paolo Alli
Da tempo diversi sistemi di intelligence segnalano il rischio che Putin voglia testare la reazione della Nato con qualche attacco ad un Paese membro dell’Alleanza Atlantica.
I droni sulla Polonia potrebbero essere un segnale in questa direzione, perciò non possiamo esimerci da alcune considerazioni.
Per prima cosa, Putin non può scegliere Paese peggiore della Polonia per mettere alla prova la Nato, in quanto i polacchi potrebbero persino essere in grado di difendersi da soli.
Un’eventuale scelta di questo tipo si spiegherebbe solo, da parte di Mosca, con la decisione di alzare molto l’asticella, e questo sarebbe estremamente preoccupante, anche in chiave europea, essendo la Polonia uno Stato assai più rilevante per Bruxelles di altri, quali Estonia, Lettonia e Lituania. Significherebbe, dunque, un guanto di sfida all’intero asse euro-Atlantico.
Più comprensibili appaiono, invece, le ragioni di una eventuale accelerazione di Putin nella direzione di segnali da lanciare all’Occidente.
Anzitutto quelle di carattere economico. Le dichiarazioni di qualche giorno fa del segretario americano al Tesoro Scott Bessent, che ha apertamente dichiarato di lavorare per far collassare il sistema russo, chiedendo all’Europa di seguire gli Stati Uniti in questa direzione (e Bruxelles sta preparando il 19mo pacchetto di sanzioni), costituiscono per Mosca un fatto molto grave.
Se a questo si aggiunge che Xi-jinping sta già facendo pagare a Putin la visibilità che gli ha concesso a Pechino con la richiesta, o per meglio dire l’imposizione, di forti sconti sulle forniture energetiche, è chiaro come le prospettive per l’economia russa siano tutt’altro che rosee. La tenuta russa nel conflitto con l’Ucraina potrebbe essere messa a dura prova anche in tempi abbastanza brevi.
Ciò giustificherebbe l’esigenza da parte di Putin di accelerare nella sua strategia di attacco, anche per non dover affrontare un lungo inverno, che sul terreno militare penalizza sempre chi attacca, senza aver tentato prima una spallata.
Sul piano strettamente politico, infine, se Trump venisse sconfitto alle prossime elezioni di medio termine, che si terranno tra circa un anno, Putin vedrebbe certamente indebolirsi di molto il sostegno politico sul fronte americano.
Tutte considerazioni che giustificherebbero ampiamente una accelerazione russa in chiave anti-occidentale.
Ma, poiché Putin non gioca mai su un fronte solo, non si può trascurare (e mi stupisco perché non mi pare di aver letto commenti in questa direzione), che tutto ciò accade a poche settimane dalle elezioni parlamentari in Moldova (28 settembre) e da una importantissima tornata di elezioni amministrative in Georgia (4 ottobre).
Sono due piccoli Paesi che hanno parte del proprio territorio militarmente occupata dalle forze armate russe da molti anni.
La Transnistria, provincia della Moldova al confine con l’Ucraina, rappresenta una sorta di spillone nel fianco orientale dell’Europa, oltre ad essere la base ideale per gli attacchi russi verso l’ovest dell’Ucraina stessa.
In Georgia, le province della Abkhazia e del Sud-Ossezia contano basi militari russe dislocate anche a poche decine di chilometri dalla capitale Tbilisi. Di recente in Abkhazia si sono avute sollevazioni popolari contro una presenza russa sempre più invasiva, ma non ho visto dare particolari rilievo a questa notizia, pure importante.
Sia in Moldova che in Georgia, la Federazione Russa sta da tempo forzando la mano, attraverso fake news, propaganda e centinaia di milioni di dollari trasferiti sotto forma di criptovalute ai partiti russofili, per cercare di sovvertire i governi attuali attraverso i processi elettorali.
In Moldova regge ancora la maggioranza europeista, mentre in Georgia lo stesso governo, sostenuto dal miliardario Ivanishvili – noto per le proprie simpatie per Mosca – ha fortemente incrementato i rapporti con la Russia e messo in atto misure liberticide contro gli oppositori.
Per mesi, decine di migliaia di cittadini georgiani hanno manifestato contro la decisione del governo di sospendere le trattative di adesione all’Unione Europea e contro la famigerata legge, di matrice sovietica, sulle influenze straniere, destinata ad eliminare qualsiasi voce dissonante.
Per le prossime elezioni amministrative, che coinvolgono tutti i principali comuni dello Stato, il governo georgiano non ha chiesto il monitoraggio delle organizzazioni internazionali, a partire dall’Osce, e questo è un segnale inquietante.
Georgia e Moldova costituiscono due bocconi molto appetibili – e anche piuttosto facili rispetto all’Ucraina – per le mire imperiali di Putin e credo che i droni sulla Polonia siano un segnale anche a questi due piccoli Paesi, assolutamente meno protetti rispetto a eventuali operazioni militari di Mosca. Che, se vedesse fallire la strada politico-elettorale, potrebbe sempre tentare di ottenere i propri scopi con la forza.
Insomma, come sempre, lo scenario è ancora più complesso di quanto possa apparire.