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Etica della buona cura. La salute giusta secondo Spinsanti

Di Sandro Spinsanti

L’etica della cura non può più prescindere da tre criteri: beneficio, autonomia del paziente e giustizia. Ma se autonomia e beneficità sono entrate nel lessico medico, la giustizia resta principalmente una questione politica. Tra logiche di mercato e modelli solidaristici, il nodo è nelle scelte su quanto e come investire nella salute pubblica. La riflessione di Sandro Spinsanti, fondatore e direttore dell’Istituto Giano per le medical humanities e il management in sanità

Anche chi non abbia fatto del movimento della bioetica l’oggetto di un’attenzione specifica avrà colto il suo nucleo concettuale. Questo è consistito nell’introdurre un cambiamento epocale nel valutare la buona e la cattiva cura. Per tradizione secolare il buon trattamento sanitario era misurato con un unico criterio: il bene del paziente. Era compito del medico decidere quale fosse, e per orientarsi aveva “scienza e coscienza”. Con la bioetica i criteri sono diventati tre: la beneficità del trattamento, il rispetto dell’autonomia della persona e la giustizia. Tre criteri non a scelta, ma contemporaneamente presenti.

Il movimento di Slow medicine è riuscito a fissare il cambiamento auspicato in una felice formula, proponendo una medicina che sappia fornire “cure sobrie, rispettose, giuste”. Il principio della beneficità si appoggia sul criterio tradizionale del bene del malato, semmai misurato con più rigore scientifico. Basterebbe pensare all’impegno sottostante al progetto Less is more, rilanciato da Choosing wisely Italy come “fare di più non significa fare meglio”, finalizzato a evitare il sovraconsumismo sanitario. E naturalmente alle esigenze dell’evidence based medicine.

Il principio dell’autodeterminazione della persona malata è stato assolutamente dirompente, perché ha introdotto un punto di vista del tutto ignorato dalla medicina del passato. La protezione paternalistica del passato, quella che nascondeva la verità al malato e riservava informazioni e decisioni ai familiari, veniva così delegittimata. Faceva la sua comparsa il consenso informato, criterio assolutamente innovativo. Basti pensare che solo nella versione del Codice deontologico dei medici italiani del 1995 affiorava l’obbligo del medico di informare e chiedere il consenso dal malato prima di ogni intervento diagnostico o terapeutico. Il criterio dell’autonomia entrava ufficialmente nell’etica, come condizione indispensabile per valutare la qualità di un atto di cura. Questi i cambiamenti che si sono profilati circa le cure “sobrie e rispettose”.

Tutt’altro è stato il percorso del terzo criterio per valutare la qualità della pratica medica, quello della giustizia. In ambito sanitario è stato al più preso in considerazione il problema delle cure giuste nello scenario delle micro-allocazioni delle risorse, ovvero quando si impone la scelta tra diversi candidati che hanno bisogno di un trattamento disponibile in misura limitata, e quindi entrano in conflitto tra di loro. Sono situazioni che richiedono un triage e possono sfociare talvolta in scelte tragiche. Di recente si sono presentate nello scenario della pandemia di Covid: le maschere per la ventilazione, insufficienti per tutti i pazienti, dovevano essere riservate ai più giovani o a quelli con maggiori opportunità di sopravvivenza? Si presentava drammaticamente lo scenario delle scelte “giuste” nel contesto microallocativo.

L’altro grave nucleo di interrogativi, concentrati intorno alle macro-allocazioni – quante e quali risorse la società è disposta a destinare alle cure sanitarie, perché queste corrispondano al criterio della giustizia? – è stato piuttosto demandato alla politica. Per decidere se un sistema sanitario merita o no la qualifica di “etico”, secondo il criterio della giustizia, dobbiamo riferirci a principi generali che rispondono alle domande relative al posto che gli individui occupano nella società e agli obblighi di questa nei confronti dei cittadini, in particolare di quelli che si trovano in stato di bisogno. Quante risorse dobbiamo destinare alla cura delle persone fragili? Due fondamentali modelli rispondono a queste domande, collocandosi su due versanti opposti. Uno privilegia l’individuo e la sua responsabilità, l’altro la società e la solidarietà; uno è incarnato dalla tradizione liberale, l’altro da quella a prevalenza sociale e di welfare. Secondo la concezione più radicale della medicina liberale il mercato sanitario si dovrebbe reggere secondo le leggi del libero scambio. Sul versante opposto del modello liberale si colloca chi ritiene che il modo migliore di far fronte alle malattie e alle diverse forme di fragilità sia quello che l’affida all’intervento attivo della pubblica amministrazione. Il contesto in questo caso è quello dello “stato sociale”. Su questo fronte si è allineata la sanità pubblica in Italia.

La posizione liberista si è profilata con vivacità nell’orizzonte culturale contemporaneo con il neoliberismo economico. Stagioni intere di politica economica e sociale sono state influenzate, come l’epoca di Reagan negli Stati Uniti e quella della Thatcher in Gran Bretagna. Anche nel riordino del nostro Ssn, avvenuto negli anni Novanta, si può dire che sia spirato un vento neoliberista, in particolare per il ruolo attribuito al mercato nel produrre l’efficienza dei servizi. In politica è prevalso il paradigma macroeconomico, considerato come unico produttore di valore, mentre il settore pubblico diventava un peso per l’economia.

La crisi attuale del sistema di welfare che abbiamo tenuto insieme negli ultimi decenni si presenta in modo così radicale da suggerire un cambio di scenario alternativo. È il programma di intellettuali e politici che si sono ritrovati nel “Piano B” – dal manifesto Piano B. Uno spartito per rigenerare l’Italia. Non un partito, ma uno “spartito” per rilanciare il ruolo politico della società civile, considerata come la vera, grande ricchezza del nostro Paese, sulla quale puntare. Dal manifesto sono nati dei progetti. Uno di questi – non a caso – riguarda proprio la ripartizione delle risorse in sanità, per rilanciare una giusta promozione della salute, grazie alla crescita della società civile e a un suo intervento attivo per definire una sanità giusta.

(Pubblicato su Healthcare Policy 16)


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