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Ecco il festival di Mosca. Ordine e normalità per la propaganda russa

Durante la parata di Pechino, un maxi-festival trasforma Mosca in un set per la propaganda politica del Cremlino. Due le platee a cui si rivolge. Da un lato, i cittadini, con l’obiettivo di normalizzare la guerra; dall’altro, al Sud globale, per sostenere che l’Occidente non è più un modello da seguire

Sono i giorni della parata militare di Xi, che mostra i muscoli al mondo, stringendo le mani dei molti Capi di Stato che lo hanno raggiunto a corte. Sono però anche i giorni, riporta il New York Times, di un festival nazionale che trasforma Mosca in un set di propaganda permanente: degrado all’americana contro marmi e ordine russo. 

La messinscena sarebbe rivolta a due platee. Da un lato, i cittadini, con l’obiettivo di normalizzare la guerra; dall’altro, al Sud globale, per sostenere che l’Occidente non è più un modello.

La propaganda di Mosca

Il NYT riporta interi padiglioni costruiti ad arte. Neon tremolanti, tunnel sporchi, un venditore di borse false che urla “Welcome to America!”. Poi una stazione della metro di Mosca, lucida e silenziosa. Ed il set più discusso del festival che ha occupato la capitale è una didascalia geopolitica: l’America è caos, la Russia è ordine.

Il filo narrativo lavora su due livelli. Interno: la vita scorre, la città prospera, la guerra non interrompe la normalità. Esterno: la Russia non è il Paese cupo descritto dall’Occidente; anzi, può apparire più efficiente, ordinato e vivibile. La promozione dell’immagine russa all’interno della competizione geopolitica tra sistemi, dove per ampie porzioni del Sud globale non è più scontato che la democrazia liberale sia la via obbligata. E la propaganda di Mosca si innesta su questo scivolamento, dimostrando che la competizione tra modelli di riferimento oggi si misura sulla normalità: chi ne promette una più desiderabile – e riesce a mantenerla – conquista anche la narrativa. 

Anche le immagini fanno la loro parte. A Tianjin, Vladimir Putin viene immortalato mano nella mano con Narendra Modi e Xi Jinping. È coreografia, ma anche teatro delle percezioni. E mettere in scena ordine e prosperità quotidiana diventa una scelta strategica.


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