Cospirazionismo d’annata, lotta alle élite democratiche, uso della forza in economia e in diplomazia, ritorno della guerra come mezzo di soluzione di controversie, identità religiosa utilizzata come un maglio, sono alcuni degli elementi imperanti che sembrano riportarci agli anni ‘30. L’opinione di Antonello De Oto, professore ordinario di Diritto delle religioni e interculturale, Università di Bologna
Putin ha ripreso fiducia dopo l’incontro di Anchorage e la sfilata celebrativa in Cina del nuovo ordine mondiale e invita Zelensky ad andare a Mosca. Il capo di Stato ucraino declina irritato l’invito a recarsi in Russia con la stessa fiducia nella tutela della sua incolumità con cui Martin Lutero avrebbe declinato la partecipazione al Concilio di Trento. La fase adesso si fa meno magmatica e più pericolosa. La guerra identitaria di Putin per il disconoscimento dell’Ucraina e la conquista di territorio canonico a favore del Patriarca Kirill è di fatto più stringente e sotto gli occhi di tutti (Mariupol docet).
Il doppio successo internazionale rende Putin più spavaldo. Tanto che oltre al determinarsi di un’accelerazione militare ulteriore da parte russa (800 droni ieri su Kyiv e dintorni) da alcuni giorni sulla rete girano video che esaltano il mondo russo, la sua capacità produttiva e infrastrutturale (iconico quello sulle nuove venticinque fermate della metro di Mosca nuove di pacca).
La pace, la volontà di fare la pace sono servite allo zar Vladimir solo per ottenere di nuovo il centro della scena, uscendo così da quell’angolo in cui lo aveva ricacciato la Corte penale Internazionale.
Ora la “palla” è in mano alla vecchia Europa che deve scegliere se rimanere un mercato di 450 milioni di persone senza una spendibile unità geo-politica oppure fare il salto. Riconquistare spinta politica e unità, così da porsi nei confronti delle autocrazie e democrature in maniera autorevole. Non più divisa e tremebonda verso i conflitti di ogni sorta che interessano il mondo ma capace di imporre quella cultura dei diritti che costituisce il vero patrimonio fondativo dell’Europa nata sulle ceneri del nazi-fascismo. Quell’Europa edificata sulla sentenza finale del processo di Norimberga capace di cristallizzare verità giuridiche che sarebbero poi divenute “verità costituzionali”, senza timore di sanzionare l’orrore e la violazione dei diritti umani e la soppressione delle istituzioni democratiche. Oggi l’orologio della storia sembra essersi azzerato. La polarizzazione politica in molti Paesi compreso l’Italia, sembra poi sfibrare, togliere fiato all’equilibrio democratico (per un’analisi necessaria e più approfondita del fenomeno si veda Pino Pisicchio, L’Ossessione del centro, Rubbettino, 2025).
Cospirazionismo d’annata, lotta alle élite democratiche, uso della forza in economia e in diplomazia, ritorno della guerra come mezzo di soluzione di controversie, identità religiosa utilizzata come un maglio, invece sono alcuni degli elementi imperanti che sembrano riportarci agli anni ‘30.
Come ha sottolineato di recente Papa Leone XIV, le vittorie militari sul campo in realtà sono sconfitte. E la guerra è sempre una pazzia come affermava il suo predecessore argentino. Un pericolo da scongiurare per godere ancora di una stagione di prosperità e pace tra gli uomini di buona volontà.