Il Royal United Services Institute (Rusi) propone la creazione di una Agenzia nazionale contro la disinformazione, sul modello del National Cyber Security Centre. L’obiettivo? Garantire la resilienza cognitiva del Regno Unito
Dieci anni fa il Regno Unito scelse di istituire il National Cyber Security Centre, portando sotto un unico tetto le competenze sparse sulla sicurezza digitale. Fu un passo radicale, ma necessario. Oggi, secondo il Royal United Services Institute (Rusi), la minaccia che richiede una risposta simile è la disinformazione, identificata dalla Strategic Defence Review 2025 come rischio di primo livello per la stabilità nazionale.
Minacce e vulnerabilità
Il Rusi richiama l’attenzione su come Russia e Cina abbiano integrato il dominio informativo nelle proprie strategie di sicurezza più di quanto abbiano fatto i Paesi occidentali. Operazioni documentate nel giugno 2025 da OpenAI mostrano un uso crescente dell’intelligenza artificiale non per attacchi cyber tradizionali, ma per produrre contenuti, commenti coordinati e false identità su scala industriale. Mosca avrebbe speso oltre un miliardo di dollari in campagne di disinformazione per erodere il sostegno occidentale a Kyiv.
Eppure, la risposta britannica resta frammentata. Episodi come gli attacchi di Southport e le rivolte razziali del 2024, amplificati da interferenze estere, hanno mostrato la vulnerabilità di un sistema in cui diverse agenzie hanno competenze parziali, senza una cabina di regia unica.
Il problema della velocità
Il Rusi sottolinea un divario strutturale. Le operazioni di influenza si muovono nell’arco di ore, mentre i processi decisionali governativi impiegano settimane o mesi. Anche strumenti legislativi recenti, come l’Online Safety Act, restano reattivi e inadatti a contenere campagne che sfruttano eventi reali in tempo reale. Gli strumenti politici ex post si muoverebbero, dunque, sempre in ritardo, evidenziando il gap esponenziale tra innovazione tecnologica e normazione giuridica e legislativa.
La lezione dell’Ncsc
Per il think tank, la creazione dell’Ncsc rappresenta un precedente che va oltre la riorganizzazione tout court: un cambio di paradigma, trasformando competenze segrete in strumenti operativi condivisi con pubblico e privato. Nel campo della disinformazione, questo salto non è ancora avvenuto. Intelligence, piattaforme social e istituzioni operano in compartimenti stagni, lasciando un vuoto che gli avversari sfruttano.
La proposta: un’Agenzia nazionale contro la disinformazione
Il Royal United Services Institute propone di replicare il modello Ncsc con un’Agenzia nazionale dedicata. Un soggetto con risorse e mandato chiaro per declassificare intelligence, coordinarsi con alleati come Nato e Five Eyes, e agire in sinergia con piattaforme digitali, media e società civile. L’obiettivo è costruire una risposta “whole-of-society” di fronte al rischio informativo.
Precedenti internazionali
Il documento cita esempi già attivi: il Centro per il contrasto alla disinformazione creato dall’Ucraina nel 2021, Viginium in Francia, e le capacità sviluppate negli Stati Uniti all’interno di Cisa, pur tra difficoltà politiche. Tutti casi che dimostrano la fattibilità di un approccio istituzionale dedicato.
La difesa cognitiva è una necessità strategica
Occorre proteggere le libertà civili, fissare confini chiari tra contrasto a operazioni ostili e tutela del dibattito politico legittimo, introdurre trasparenza e controlli indipendenti. Ma l’alternativa è mantenere la frammentazione attuale, che si traduce in un vantaggio strutturale per gli avversari. Il passaggio per la costituzione di una difesa informativa nazionale è una necessità strategica inevitabile. Come l’Ncsc ha cambiato la postura britannica nel cyberspazio, così una nuova Agenzia potrebbe garantire la resilienza cognitiva del Paese, impedendo che campagne ostili possano plasmare elezioni, erodere la fiducia e compromettere il tessuto democratico, politico e civile britannico, producendo effetti prima ancora che i conflitti si manifestino sul campo tradizionale.