Le guerre contemporanee si combattono nei mercati e nei flussi di capitale più che sui campi tradizionali. La finanza si è trasformata in uno strumento di deterrenza e pressione geopolitica, dove algoritmi e fondi sovrani diventano leve di potere. Nuovi strumenti europei e l’intelligence economica emergono come chiavi per comprendere e gestire questa competizione silenziosa. Il punto di Raffaele Volpi
Le guerre del nostro tempo non si combattono soltanto sui campi di battaglia, ma nei silenzi dei mercati, nei movimenti repentini delle borse, nelle scelte occulte dei fondi sovrani. È un conflitto che non produce colonne di fumo, ma grafici che oscillano; non schiera divisioni corazzate, ma manda in avanscoperta algoritmi e strumenti finanziari. Una deterrenza invisibile, che spesso nasce e si consuma senza che l’opinione pubblica ne abbia percezione.
Gli ultimi anni hanno reso evidente quanto la finanza sia diventata un’arma di potere globale. Il congelamento delle riserve russe, l’espulsione dal sistema Swift, le restrizioni sulle esportazioni tecnologiche hanno mostrato che l’arma economica non è più ancillare alla politica di difesa, ma parte integrante della strategia di deterrenza. E se questa logica vale per gli avversari dichiarati, non di meno riguarda anche i rapporti tra Paesi formalmente alleati, dove la cooperazione convive con un’intensa attività di intelligence economica.
Dietro le quinte, infatti, i flussi di capitale diventano strumenti di influenza geopolitica. Le vendite improvvise di titoli in settori strategici, le oscillazioni pilotate delle quotazioni, l’ingresso o l’uscita selettiva da mercati chiave non sono sempre frutto del caso. A volte rispondono a logiche di pressione, a segnali inviati da attori che usano il linguaggio dei mercati per esercitare potere. Una grande banca, un fondo sovrano, un investitore istituzionale possono trasformarsi in “armi a distanza”, capaci di orientare la stabilità di un’economia senza sparare un colpo.
In questo scenario assumono rilievo nuovi strumenti, destinati a ridefinire il perimetro della sicurezza economica. Gli Eltif (European Long Term Investment Funds), concepiti per canalizzare capitali verso investimenti strategici di lungo periodo, possono diventare leve di rafforzamento dell’autonomia industriale europea, se ben indirizzati. I fondi misti pubblico-privati, con logiche di equity specializzata, offrono la possibilità di sostenere settori sensibili senza esporli eccessivamente al rischio di scalate estere. I bond comuni europei per la difesa – già ipotizzati da Bruxelles – rappresentano un passo verso una deterrenza finanziaria collettiva, che riduca la vulnerabilità dei singoli Stati.
Ma la finanza non è solo strumento di difesa: è anche terreno di penetrazione. I fondi del Golfo che acquisiscono quote di banche europee, i capitali cinesi che si muovono sulle tecnologie duali, i fondi pensione americani che riorientano le proprie scelte sugli asset della difesa: ognuno di questi movimenti va letto non soltanto in termini economici, ma come parte di un disegno geopolitico. È qui che entra in gioco l’intelligence economica, disciplina sempre più centrale per decifrare i segnali nascosti, prevenire vulnerabilità e comprendere come la geoeconomia ridisegni rapporti di forza anche tra alleati.
Accanto a questo, si aprono scenari inediti legati alla cyber-finanza. Gli attacchi mirati a piattaforme di trading, a clearing houses o perfino alle banche centrali sono già oggi un rischio reale. Basterebbe un blocco temporaneo dei sistemi di pagamento o una manipolazione dei dati per minare la fiducia dei mercati e destabilizzare interi sistemi economici. Non è fantascienza, è la prosecuzione della guerra con altri mezzi.
In questo nuovo equilibrio globale, l’Europa ha un bivio davanti a sé. Potrà limitarsi a inseguire, subendo gli urti dei mercati e le mosse dei grandi player esterni; oppure potrà dotarsi di strumenti comuni di deterrenza economica, rafforzando la propria autonomia. Milano, con la sua Borsa e la sua tradizione finanziaria, potrebbe assumere un ruolo di “capitale della sicurezza economica europea”, capace di attrarre capitali e di trasformarli in potere strategico.
La vera sfida è che questa guerra silenziosa non finirà mai sui telegiornali. I colpi si scambiano nei movimenti delle quotazioni, nelle decisioni di un consiglio d’amministrazione, nelle scelte di un portafoglio globale. Eppure, è lì che si decide oggi la stabilità delle nazioni. La deterrenza del futuro sarà sempre più fatta di cifre, di debito comune, di strumenti finanziari innovativi. Ma per comprenderla servirà anche uno sguardo diverso: la capacità di leggere l’invisibile, di connettere i punti, di pensare la finanza come il vero campo di battaglia del nostro tempo.