Il conflitto in Ucraina si conferma cartina di tornasole della competizione tra Stati Uniti, Russia, Cina ed Europa. Washington riduce il suo impegno diretto, Mosca punta a consolidare l’asse orientale con Pechino, mentre Bruxelles sostiene Kyiv ma senza una reale autonomia strategica. Zelensky ribadisce la linea della sovranità, ma la prospettiva di un negoziato resta lontana. L’analisi del generale Pasquale Preziosa
La guerra in Ucraina è diventata lo snodo centrale della nuova competizione strategica tra le grandi potenze. Come sottolineato da Robert Gilpin, sulla scia delle intuizioni di Charles Kindleberger nella teoria della stabilità egemonica, i conflitti maggiori tendono a scoppiare quando una potenza emergente sostiene o sfrutta un conflitto regionale per indebolire l’egemone e accelerarne il declino.
In questo scenario, Stati Uniti, Russia, Cina e Unione Europea si muovono su piani geostrategici differenti, mentre l’Ucraina resiste all’aggressione russa nel tentativo di preservare la propria integrità territoriale. Un’analisi comparata delle strategie adottate dai principali attori consente di individuare i possibili punti di caduta e le possibili traiettorie di evoluzione del conflitto.
La geostrategia americana oggi. Tra disimpegno e triangolazione imperfetta
Con la seconda presidenza Trump, gli Stati Uniti hanno mostrato un progressivo distanziamento dal conflitto ucraino. L’incontro di Anchorage tra Trump e Putin si è risolto in poco più che un gesto simbolico, rivelando la volontà americana di ridurre il coinvolgimento diretto in quella che lo stesso Trump ha definito “la guerra di Biden”.
Questa postura richiama, ma in forma rovesciata, la storica strategia triangolare di Henry Kissinger negli anni 70, quando Washington si era collocata come perno tra Mosca e Pechino, mantenendo con entrambe relazioni più strette di quelle che esse avevano tra loro, così da massimizzare la propria flessibilità diplomatica e contenere l’Urss. Oggi, invece, la triangolazione appare imperfetta ovvero gli Stati Uniti non sono più l’arbitro del rapporto russo-cinese, ma ne osservano il consolidamento dall’esterno, cedendo di fatto alla Cina quella posizione di vantaggio negoziale e strategico che un tempo apparteneva a Washington.
La posizione americana appare dunque ambivalente, da un lato evita il coinvolgimento diretto e cerca di trasferire sull’Europa il peso del sostegno a Kyiv, dall’altro, il disimpegno favorisce il rafforzamento dell’asse russo-cinese, riducendo drasticamente la capacità degli Stati Uniti di influenzare il futuro assetto geopolitico dell’Eurasia.
La geostrategia russa ha due obiettivi: resistere e spostare l’asse verso Est
Per la Russia, l’obiettivo strategico resta immutato: impedire l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e consolidare il controllo sui territori già occupati. L’invasione, pur presentata da Mosca come una “operazione speciale”, si inscrive in una logica di lungo periodo volta a ricostruire una sfera d’influenza nello spazio post-sovietico e a riaffermare la Russia come attore imprescindibile negli equilibri globali.
Sul piano geoeconomico, nonostante le sanzioni occidentali, Mosca trova in Pechino un alleato di lungo periodo. Il sostegno economico, tecnologico e diplomatico della Cina neutralizza gran parte degli effetti delle misure restrittive europee, riducendole a strumenti più simbolici che realmente incisivi. Il ricorso ai mercati asiatici, la diversificazione energetica verso l’Estremo Oriente e la cooperazione tecnologica con la Cina consolidano la capacità russa di resistere allo shock imposto dall’Occidente.
Putin, consapevole della debolezza strutturale del fronte europeo e del crescente disimpegno americano, individua nella convergenza con Xi Jinping lo strumento decisivo per garantire la resilienza della Russia e rafforzare un ordine alternativo a guida sino-russa. In questa prospettiva, la guerra in Ucraina non rappresenta soltanto un conflitto territoriale, ma diventa un tassello fondamentale nella ridefinizione complessiva dei rapporti di forza globali, accelerando lo spostamento dell’asse geopolitico da Ovest verso Est.
La geostrategia europea oscilla tra impotenza e resistenza
L’Unione Europea si trova in una condizione di difficoltà strutturale che ne limita l’azione strategica. Da un lato, sostiene Zelensky con aiuti militari, finanziari e politici, ponendosi a difesa della legalità internazionale violata dall’aggressione russa e riaffermando la propria vocazione normativa come “potenza civile”. Dall’altro, l’assenza di una reale autonomia strategica la condanna a oscillare tra la dipendenza dagli Stati Uniti e la vulnerabilità nei confronti di Mosca e Pechino, che sfruttano divisioni interne e debolezze energetiche europee.
Gli aiuti europei rappresentano un contributo indispensabile per la sopravvivenza dell’Ucraina, ma in assenza di un impegno statunitense paragonabile a quello dell’amministrazione Biden, essi si rivelano insufficienti a garantire una vittoria militare. Ne consegue che l’Europa appare più come un argine politico e simbolico che come un attore pienamente capace di orientare il nuovo equilibrio geopolitico. Tale condizione riflette il paradosso europeo: unione economica di primo piano, ma potenza strategica incompiuta, costretta a resistere senza riuscire a incidere in maniera decisiva sugli esiti del conflitto.
L’Ucraina, sotto la leadership di Volodymyr Zelensky, adotta una strategia fondata su due principi non negoziabili: nessuna cessione territoriale e nessuna rinuncia alla sovranità nazionale. Questa linea inflessibile, che riflette la volontà di preservare l’identità statuale e il diritto internazionale violato dall’aggressione russa, trova sostegno nei principali leader europei. Tuttavia, si scontra con la logica americana del progressivo disimpegno e con la visione cinese di un compromesso che, pur stabilizzando il conflitto, consoliderebbe gli interessi strategici di Mosca.
Kyiv si colloca così in una doppia opposizione: da un lato contro la Russia, che mira a imporre una pace dettata dalle proprie condizioni; dall’altro contro la Cina, che intravede in un’Ucraina indebolita o sconfitta l’opportunità di alleggerire la pressione statunitense sul fronte asiatico. La posizione ucraina, pur pienamente legittima sul piano giuridico e morale, rischia di accentuare l’isolamento strategico del Paese, costringendolo a dipendere in misura crescente dalla resilienza europea e dalle scelte oscillanti di Washington.
Si può raggiungere la pace che tutti invocano, ma che ciascun attore immagina e persegue a modo proprio, con i lineamenti geostrategici attuali dei Paesi coinvolti?
Applicando la teoria dei giochi alle dinamiche descritte, con gli attuali supporti esterni ai Paesi in conflitto (payoff esogeni), e considerando che una guerra tende a proseguire quando il valore di riserva di almeno uno dei contendenti supera ciò che potrebbe ottenere al tavolo negoziale, si osserva che la Russia dispone oggi di un valore di riserva elevato, grazie al limitato impatto delle sanzioni, mentre l’Ucraina lo mantiene alto sia sul piano normativo sia attraverso gli aiuti occidentali. Ne consegue che il prolungamento del conflitto rappresenta, allo stato attuale, lo scenario più probabile.
In linea con le teorie della negoziazione internazionale di I. William Zartman, la pace diventa possibile soltanto quando le parti percepiscono di trovarsi in una condizione di mutually hurting stalemate (stallo reciprocamente doloroso), ossia quando i costi attesi dal proseguimento delle ostilità superano i benefici potenziali e la guerra appare priva di prospettive concrete di vittoria. A ciò deve aggiungersi la percezione di una mutually enticing opportunity, cioè l’esistenza di un’opportunità negoziale sufficientemente vantaggiosa da rendere preferibile la ricerca di un accordo rispetto al continuare a combattere.
Oggi, tuttavia, né la Russia né l’Ucraina sembrano prossime a tale punto di equilibrio: entrambe continuano a resistere grazie al sostegno esterno, sebbene in forme diverse. In queste condizioni, lo scenario dello stallo doloroso rimane incompleto, rendendo difficilmente praticabile l’apertura di un processo negoziale credibile.
L’Ucraina resta così al centro di una partita più ampia, in cui la sua stessa sopravvivenza dipende non solo dalla propria resilienza, ma anche dagli equilibri mutevoli tra Stati Uniti, Russia, Cina ed Europa. Senza un vero stallo reciprocamente doloroso e senza un’opportunità negoziale condivisa, la pace rimane lontana e il conflitto tende a protrarsi, trasformandosi in uno dei fronti principali della competizione sistemica globale.