Il 5 gennaio 1914 John Ford decide di aumentare la paga e ridurre l’orario di lavoro dei propri dipendenti. I lavoratori rispondono con meno assenteismo, più fidelizzazione all’azienda, più produttività e meno abbandoni. I profitti aumentano. Il passaggio alla settimana corta (da 5 a 4 giorni di lavoro) è il nuovo scambio di doni dei nostri tempi? Probabilmente sì. Il commento di Leonardo Becchetti
La settimana corta da 5 a 4 giorni è la rivoluzione prossima ventura del mercato del lavoro, il prossimo “scambio di doni” tra aziende e lavoratori? Il primo e famosissimo scambio di doni avviene il 5 gennaio 1914 quando John Ford decide di aumentare la paga e ridurre l’orario di lavoro dei propri dipendenti. I contabili gli dicono che è follia e che perderà profitti. I lavoratori rispondono in realtà con meno assenteismo, più fidelizzazione all’azienda, più produttività e meno abbandoni. I profitti aumentano.
Il passaggio alla settimana corta (da 5 a 4 giorni di lavoro) è il nuovo scambio di doni dei nostri tempi? Probabilmente sì. Ma non può e non deve essere imposto per legge. Piuttosto può e deve affermarsi selettivamente e progressivamente. La durata dell’orario di lavoro non è un dogma scolpito nella pietra. Nell’ultimo secolo Francia ed Olanda hanno visto dimezzarsi l’orario di lavoro, Italia e Stati Uniti ridursi di un terzo (da noi da circa 60 a 40 ore settimanali).
Nel Regno Unito 61 grandi imprese hanno sperimentato per sei mesi la riduzione dell’orario di lavoro con il modello 100-80-100 (stesso stipendio, 80% dell’orario e obiettivo di stessa produttività). La sperimentazione ha avuto successo: più soddisfazione dei lavoratori, maggiore capacità di conciliare vita di lavoro e vita di relazioni, riduzione di assenteismo e malattie e produttività che non cala. Il grande convitato di pietra che spinge in questa direzione è il progresso tecnologico. Prendete ora l’AI.
In moltissimi settori consente di fare le stesse cose di prima in un decimo del tempo. Possiamo scegliere se farne dieci di più (tutto l’aumento di produttività speso in aumento di lavoro) o usare una parte dei “dividendi” del progresso tecnologico per “comprarci” un po’ di tempo libero. È quello che è accaduto sempre nella storia e che spiega la riduzione progressiva dell’orario di lavoro nel tempo. Nonostante il rischio di avere dei concorrenti sul mercato che magari provano a farci le scarpe mantenendo l’orario di lavoro stabile.
Se diamo un’occhiata a quello che sta diventando il venerdì, ai contratti di solidarietà che di fatto applicano il modello del lavorare meno-lavorare tutti in aziende in difficoltà, alle scelte di molte aziende, come alcune importanti del nostro Paese (Luxottica in primis), la riduzione dell’orario di lavoro è la direzione in cui probabilmente e auspicabilmente andremo.