La visita del primo ministro indiano Narendra Modi in Cina, la prima in sette anni, in occasione della 25ª riunione dei capi di Stato e di governo dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, ha suscitato un’ondata di ottimismo. L’auspicio diffuso è che i due giganti asiatici, India e Cina, possano finalmente attenuare le tensioni e avviare una fase di cooperazione più stabile. I due Paesi sono noti per le loro relazioni complesse, oscillanti tra cooperazione e competizione. Nel corso dell’incontro, Modi e Xi Jinping hanno dichiarato di voler essere partner per lo sviluppo, non rivali, lanciando un messaggio strategicamente significativo, soprattutto verso i Paesi occidentali e alla luce delle politiche tariffarie imposte dall’amministrazione Trump. Tuttavia, è probabile che molti degli scambi e dei gesti diplomatici restino simbolici, mentre a livello strutturale persistono fattori che continuano ad alimentare rivalità e diffidenze.
Il primo riguarda la dimensione militare e territoriale. Le dispute lungo il confine himalayano restano irrisolte e continuano a essere un elemento di instabilità. Di fatti, dall’ultimo episodio significativo nel 2020 con gli scontri nella valle di Galwan e aree circostanti, la diplomazia ha prodotto soltanto risultati parziali. Sebbene nel 2024 il ministro degli Esteri Subrahmanyam Jaishankar abbia parlato di un 75% di disengagement nei territori contesi, la realtà sul terreno è differente. Di fatti, l’India attende ancora la piena cooperazione cinese per completare le due fasi previste già nel 2020 – la de-escalation e la de-induction. Le zone cuscinetto, nate come misure temporanee, sono ancora in vigore, mentre la Cina prosegue la costruzione di infrastrutture strategiche lungo la linea di confine.
A ciò si aggiunge una crescente diffidenza economica. L’ottimismo sulla cooperazione “win-win” tra India e Cina è in netta flessione: Pechino ha introdotto controlli all’export su terre rare, fertilizzanti e macchinari, accentuando le vulnerabilità indiane invece di ridurle. Parallelamente, ha rafforzato i suoi legami con Pakistan e Bangladesh, sostenendo militarmente Islamabad per bilanciare l’influenza indiana nella regione.
In sostanza, dietro gli annunci di “normalizzazione” persistono divergenze profonde e strutturali. Tuttavia, anche dinamiche di convergenza, per quanto fragili, non vanno sottovalutate. In un contesto di crescente incertezza, aggravata dai dazi statunitensi, l’India ha urgente bisogno di strumenti di bilanciamento nei confronti della Cina. Se non può farlo esclusivamente tramite gli Stati Uniti, l’Europa può quindi assumere un ruolo significativo. L’Occidente resta infatti un attore imprescindibile per le aspirazioni di sviluppo e per gli obiettivi di sicurezza di Nuova Delhi. Per questo motivo l’India tenderà a perseguire un approccio calibrato e multilaterale nelle proprie relazioni esterne, pur riconoscendo la complessità del rapporto con Pechino. Una sfida tutt’altro che semplice, soprattutto considerando che il vertice Sco si è confermato un forum prevalentemente anti-occidentale, dove l’Europa dovrà muoversi con prudenza e strategia.
Il recente lancio di una nuova strategia del Partenariato Strategico Ue–India rappresenta un passo concreto verso una cooperazione più strutturata in materia di commercio, tecnologia, sicurezza e difesa, malgrado le persistenti divergenze nelle relazioni tra Delhi e Mosca. In questo quadro, l’Italia ricopre un ruolo cruciale: se da un lato è impegnata a mantenere coeso l’Occidente, dall’altro crede con convinzione nella propria partnership con l’India. Roma, che vanta forti relazioni bilaterali con Nuova Delhi, si è confermata un sostegno attivo alle principali iniziative indiane sulla scena internazionale, dal proposto accordo di libero scambio India-Ue al Corridoio Economico India–Medio Oriente–Europa (Imec).
Per l’India, diversificare i legami economici e politici con l’Unione europea è una necessità strategica, anche perché Bruxelles è già il suo primo partner commerciale. Parallelamente, l’Europa ha tutto l’interesse a rafforzare i rapporti con Nuova Delhi, non solo per motivi economici, ma anche per consolidare la propria autonomia strategica in un Indo-Pacifico sempre più competitivo. L’Italia, grazie alla sua posizione di cerniera tra Occidente e Asia e alla credibilità maturata nel dialogo con l’India, può dunque fungere da ponte privilegiato per trasformare questa partnership in una leva geopolitica di lungo periodo.