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Argentina al voto. Perché le elezioni sono un test per Milei

Le elezioni di metà mandato in Argentina sono un test per il futuro politico di Javier Milei. Il presidente libertario, eletto nel 2023 affronta il momento più delicato del suo mandato: una crisi valutaria, un governo indebolito da scandali ma conta sul sostegno americano

Si vota oggi in Argentina per le elezioni di metà mandato, appuntamento chiave per il prosieguo della presidenza di Javier Milei. Gli elettori sono chiamati a rinnovare la metà dei deputati della Camera e un terzo dei senatori, e gli occhi sono tutti puntati sulla prestazione del partito di Milei, La libertà avanza (Lla), attualmente con numeri esigui in entrambe le Aule.

Un aumento consistente della rappresentanza parlamentare dei “libertari” darebbe al governo maggior forza per portare avanti l’ambiziosa agenda di riforme, rendere più complicata l’apertura del giudizio politico su Milei e, soprattutto, sarebbe una importante rassicurazione per l’amministrazione Usa e la scommessa fatta sul successo della corsa intrapresa da Buenos Aires contro l’agenda socialista regionale.

CAMPAGNE ELETTORALI CONTRAPPOSTE

Nel corso dell’evento a chiusura della campagna elettorale che si è tenuto nella città di Rosario, la terza città più popolosa dopo Buenos Aires e Cordoba, Milei è tornato alle origini e alla mistica trionfalistica che lo ha caratterizzato anche durante la campagna del 2023. “Siamo il primo governo liberal libertario – ha detto il presidente argentino – non solo in Argentina, ma della storio del mondo”, si legge in un articolo del Pais. Milei ha poi accusato il peronismo di portare il Paese verso “una dittatura castrochavista”, paventando ancora il fantasma del comunismo attaccando, anche senza mai nominarla, la ex presidente Cristina Kirchner, chiamandola “la condannata” e “la regina della cavigliera”, riferendosi al dispositivo di sicurezza che indossa a causa degli arresti domiciliari.

Le opposizioni di sinistra riunite nella coalizione Unione per la patria (Up) dovranno difendere la maggioranza conquistata al Senato e i grandi numeri della Camera legati alla vittoria al primo turno delle presidenziali di Sergio Massa, l’ex ministro dell’Economia sconfitto al ballottaggio da Milei. Una partita che potrebbe stritolare le forze intermedie, a partire da quelle che hanno garantito il sostegno al governo (come il Pro dell’ex presidente, Mauricio Macri). Che sia un momento di svolta per l’agenda politica argentina lo testimonia anche il fatto che lunedì, indipendentemente dall’esito delle urne, Milei dovrebbe completare un rimpasto di governo apparentemente pensato per aumentare il peso specifico del circolo più ristretto del presidente, in vista di una “fase 2” delle riforme.

La chiusura della campagna elettorale delle opposizioni, invece, si è tenuta proprio a Buenos Aires, guidata dal suo governatore, Axel Kicillof, e dall’ex candidato presidenziale Sergio Massa. La scelta della location, l’Università di San Martin, è stata strategica: le università pubbliche sono state le prime a mobilitare gli argentini contro lo smantellamento dello Stato iniziato da Milei, con grandi manifestazioni di piazza. La difesa dell’educazione superiore si è convertita in uno dei cavalli di battaglia delle opposizioni.

ATTESE E PRONOSTICI

L’attesa è su quanto sarà la crescita del partito di Milei, dato che un consolidamento è scontato: il voto non rimetterà in discussione nessuno dei sei senatori eletti nel 2022 e solo otto su 37 deputati di Lla. Milei ha più volte indicato come obiettivo quello di strappare un terzo dei seggi in entrambe le Aule, 86 alla Camera e 24 al Senato: numeri utili a confermare il veto che Milei ha posto e intende porre sulle leggi promosse dalla sinistra, così come a bloccare in autonomia le iniziative di censura parlamentare, come quella spinosa legata al caso della cripto-moneta “Lybra”.

Stando però alle proiezioni realizzate dal portale specializzato “Parlamentario”, nella migliore delle ipotesi Lla potrebbe arrivare a quota 77 deputati e 18 senatori. D’altro canto, considerando lo scenario peggiore, i “libertari” potrebbero arrivare a 14 senatori e 60 deputati, comunque aumentando la loro forza. Rimane il fatto che per poter assumere il controllo del “Congreso” i libertari dovranno con ogni probabilità sperare in una buona prestazione degli alleati, il partito di Macri e i gruppi espressione delle province, con però l’inevitabile rischio – sottolineato dai media locali –, di dover patteggiare parte dell’agenda.

I rischi maggiori, in termini di perdita di rappresentanza, li corrono però la sinistra peronista di Up (che alle urne si presentano sotto il nome di Forza Patria): dei 98 seggi di cui dispongono alla Camera ne arrivano a scadenza 46, mentre al Senato la partita riguarda 16 dei 34 rappresentanti. Le possibilità di un passo indietro sono concrete: la coalizione deve gran parte della sua forza ai parlamentari eletti nel 2019, in concomitanza con la vittoria di Alberto Fernandez alla presidenza, con Cristina Kirchner candidata vice. Un effetto traino accelerato dal meccanismo di voto – “boleta partidaria”, con una scheda per ogni partito –, mentre a questa tornata, i candidati saranno tutti ricompresi in una scheda unica, partecipi di una competizione che gli analisti ritengono sarà meno controllata. Si stima che i kirchneristi possano perdere tra i due e i sei senatori, mentre alla Camera lo scenario è di una perdita di dodici seggi ma anche di una crescita di due: in entrambi i casi il gruppo di Up avrà la maggioranza relativa ma la possibile perdita di quella assoluta alla Camera rimarrebbe un dato da registrare.

LO SGUARDO DI WASHINGTON

L’appuntamento elettorale, come detto, verrà seguito con attenzione anche a Washington. L’amministrazione del presidente Usa, Donald Trump, ha messo in moto un articolato piano per blindare il governo Milei a fronte di un eventuale ritorno della sinistra a Buenos Aires: il dipartimento del Tesoro e la Banca centrale argentina (Bcra) hanno firmato un contratto di “swap” fino a 20 miliardi di dollari e altri 20 miliardi da destinare all’acquisto di titoli di debito potrebbero uscire fuori da un’intesa tra le principali banche, sotto l’impulso della Casa Bianca. Tutte risorse fondamentali innanzitutto a rimpinguare le riserve monetarie, dando alla Banca centrale margini di manovra per controllare il tasso di cambio del dollaro, il cui sistema di cambi è stato di recente parzialmente liberalizzato e per questo ritenuto al centro di crescenti speculazioni. Washington si è anche attivata per portare il Fondo monetario internazionale (Fmi) ad accendere un nuovo prestito, oltre alla promessa di sbloccare canali commerciali e portare investitori a Buenos Aires. Il tutto, nella speranza che Milei vinca “le prossime elezioni” ha detto Trump nel corso di una conferenza stampa finita al centro di polemiche per il sospetto che il presidente Usa si riferisse alle elezioni generali e non a quelle di medio termine.


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