Dalla promessa di “servizi sicuri” alla realtà di un esercito che si logora sul campo, la nuova campagna di reclutamento russa del 2025 mostra la mutazione profonda della macchina militare di Mosca: meno truppe motivate, più retorica di normalità, e una guerra sempre più amministrata dal linguaggio della burocrazia
Nell’autunno del 2025 la Federazione Russa ha rilanciato con forza la propria campagna di arruolamento militare a contratto. Sui canali social ufficiali e para-governativi, in particolare su VKontakte, si è registrato un incremento di oltre il 40% delle pubblicazioni promozionali rispetto al semestre precedente, secondo quanto rileva un’analisi di OpenMinds.
Un dato apparentemente tecnico, ma che in realtà riflette il tentativo del Cremlino di trasformare il conflitto in corso in un processo gestionale, amministrato attraverso strumenti civili come pubblicità, incentivi, lessico economico, più che tramite mobilitazioni collettive di massa.
Dal 2022, la contrattualizzazione del personale militare è divenuta la valvola di sfogo del sistema di potere russo, incapace di sostenere sul lungo periodo il peso demografico, politico e psicologico di una mobilitazione permanente. Le forze armate russe hanno perso, tra il 2022 e il 2025, una quota rilevante del proprio capitale umano; la mortalità tra i reparti combattenti, stimata in crescita nei primi mesi del 2025, ha portatolo Stato Maggiore a una svolta comunicativa: non più “difendere la patria”, ma “trovare lavoro”.
Dalla guerra patriottica al marketing del rischio calcolato
Studiare il linguaggio ufficiale del reclutamento consente di fotografare la trasformazione in atto. Secondo il rapporto di OpenMinds, espressioni come “servizio tranquillo”, “nessuna linea del fronte”, “unità di retrovia”, o “servizio facile” sono comparse con frequenza crescente negli annunci pubblicati online a partire da marzo 2025, raggiungendo a luglio una quota del 20% sul totale dei post di reclutamento. La scelta lessicale non è mai casuale e cerca di normalizzare lo stato di guerra. Mosca cerca di rimodellare la percezione della guerra, non più un dovere patriottico collettivo, bensì come attività contrattuale personale, teoricamente controllata, dunque “sicura”.
Il presidente Vladimir Putin, nel maggio 2025, ha dichiarato che ogni mese tra 50.000 e 60.000 nuovi contrattisti si arruolano nelle Forze Armate. La cifra è stata rilanciata da media statali e canali Telegram filogovernativi come segno di “fiducia” nel sistema. Tuttavia, l’analisi dei dati di spesa regionale mostra che i numeri reali si collocano tra i 30.000 e i 40.000 arruolamenti mensili, con un trend in calo rispetto all’ultimo trimestre del 2024. Il reclutamento contrattuale dipende fortemente dalle disponibilità finanziarie dei soggetti regionali e dai bonus promessi ai nuovi firmatari, che ammontano fino a 695.000 rubli per l’arruolamento, più stipendi mensili superiori alla media nazionale.
I “lavori sicuri”
Il tratto più innovativo, e al tempo stesso più ambiguo, della campagna del 2025 è l’introduzione del concetto di “servizio non combattente”. Gli annunci su VK, sui portali di lavoro come Headhunter e Avito Jobs, e persino sui siti regionali di amministrazioni locali promuovono posizioni come autisti, magazzinieri, addetti alla logistica, tecnici e guardie di sicurezza. OpenMinds evidenzia che, già ad aprile 2025, le offerte di lavoro per conducenti superavano il numero totale di quelle relative a specialità di combattimento. Sul portale Headhunter, i conducenti rappresentavano il 12% delle inserzioni militari, la quota singola più alta, mentre le professioni di supporto ai veterani, tra cui assistenti sociali e addetti alla comunicazione nei centri di reinserimento, costituivano il 17%.
Questa spinta verso i “lavori civili in uniforme” serve a costruire l’immaginario comune su un concetto di guerra gestibile, professionalizzata, lontana dalla brutalità delle prime fasi dell’invasione.
La trappola della sicurezza
Molti degli annunci che promettono “servizio tranquillo” sono pubblicati da agenzie di reclutamento militare esterne, create per massimizzare le adesioni e non per garantire la veridicità delle mansioni. Una volta firmato il contratto, il candidato scopre che la destinazione effettiva è decisa dal comandante di unità, non dal tipo di posizione indicata nella pubblicità. Il tutto viene confermato all’interno degli stessi siti dediti al reclutamento e citati apertamente nello studio: “Senza una lettera ufficiale di assegnazione non è possibile garantire un posto come autista, poiché il comandante stabilisce la destinazione finale del militare”.
Il risultato è una macchina di reclutamento che opera con la logica del marketing più che con quella dell’amministrazione militare. L’obiettivo non è tanto informare, quanto persuadere. E l’illusione di sicurezza diventa un efficace strumento di manipolazione sociale. Pensieri lenti e pensieri veloci, si direbbe, con la differenza che la scelta, in questo caso, più che economica è vitale e implica il fronte e la possibilità di non tornare.
La guerra normalizzata: il reclutamento come controllo sociale
L’aumento degli annunci per “servizi non combattenti” riflette la costituzione di una architettura di controllo interno. Dalla primavera del 2025, il Cremlino ha incentivato la creazione di centri di reinserimento dei veterani e di programmi di assistenza economica per le famiglie dei caduti, presentando questi come esempi di “coesione nazionale”. La campagna di reclutamento, in questo senso, funge anche come strumento di integrazione sociale controllata. Come? Crea nuove reti di dipendenza economica e psicologica nei confronti dello Stato, riduce lo spazio per la protesta e per la fuga dal sistema.
Il reclutamento contrattuale agisce oggi come una forma di welfare surrogato. Offre reddito, identità e status in aree del Paese prive di alternative occupazionali. Nella narrazione del Cremlino, l’arruolamento è un’opportunità professionale, non una scelta di guerra.
Propaganda adattiva e società di guerra
L’apparato comunicativo russo ha ormai sviluppato una forma di propaganda adattiva simile a quella di Pechino. Un modello dinamico capace di cambiare linguaggio e tono a seconda del pubblico e del momento politico. Nella prima fase della guerra, la retorica faceva leva sull’eroismo collettivo e sulla memoria della “Grande Guerra Patriottica”. Oggi, viceversa, prevale una comunicazione che rasenta i toni aziendali, con l’utilizzo di termini come “benefit”, “formazione”, “posti garantiti”, “carriere stabili”. Presentare la guerra come fonte di stabilità, anziché di sacrificio, serve a mantenere l’immagine di una leadership capace di gestire il conflitto come un “processo di governance” più che come uno scenario di crisi.
L’attuale strategia di reclutamento rivela la transizione della Russia verso una economia di guerra permanente, ma a bassa intensità. Mosca punta a mantenere costante la pressione sul fronte ucraino (o europeo) senza ricorrere a nuove mobilitazioni di massa, troppo costose e socialmente rischiose.