Provocazioni simboliche, fake news e fabbriche della paura: la Francia è diventata il poligono della guerra ibrida russa. Mosca vuole colpire i nervi scoperti della Repubblica (identità, convivenza, sicurezza) per erodere consenso a Kyiv e spaccare l’Europa dall’interno. Ecco come
La guerra d’influenza russa ha scelto la capitale francese come laboratorio di provocazioni simboliche e campagne psicologiche: 35 mani rosse sul Muro dei Giusti del Memoriale della Shoah; teste di maiale davanti a nove moschee dell’Île-de-France; stelle di David spruzzate a stencil sui muri; perfino “bare” accostate alla Tour Eiffel. Il filo rosso, riportato da Politico e ricostruito da inquirenti e apparati, è una strategia a bassa intensità e alta visibilità, che accende le fratture identitarie e corrode il consenso verso l’appoggio a Kyiv.
Perché la Francia
Parigi pesa, e quindi attira fuoco di disturbo. Unica potenza nucleare dell’Ue, sostegno chiave all’Ucraina e, all’interno della coalizione e durante i passaggi più tesi, è persino aperta all’ipotesi di opzioni sul terreno. Ma pesa anche per le sue vulnerabilità. La grande società plurale (le comunità musulmana ed ebraica più numerose dell’Ue), la tradizione di “autonomia strategica” che ha illuso Mosca sulla permeabilità del dibattito, e un’attenzione pubblica non temprata come quella dei Paesi sulla linea del fronte est.
Dati, fatti e numeri alla mano
Tra la fine di ottobre e novembre 2023, Parigi si è risvegliata con decine di stelle di David blu tracciate a stencil su muri della capitale e della banlieue: due cittadini moldavi vengono fermati e gli inquirenti individuano un uomo d’affari filorusso come possibile regista, mentre reti di disinformazione come “doppelgänger” ne amplificano le immagini online, configurando un primo caso-scuola di interferenza attribuibile a Mosca.
Poco dopo, tra il 13 e il 14 maggio 2024, 35 impronte di mani rosse appaiono sul Mur des Justes del Memoriale della Shoah: tre bulgari fuggono verso Bruxelles e, secondo gli investigatori, il loro viaggio è stato finanziato da un quarto uomo fermato in Croazia.
Ancora, a inizio giugno 2024, l’installazione di finte bare vicino alla Tour Eiffel, rivendicata da un presunto collettivo “ucraino”, insospettisce la polizia per le analogie operative con l’episodio precedente e porta al fermo di tre stranieri, tra cui un bulgaro e un tedesco.
Nella primavera-estate 2025 si registra poi una raffica di imbrattamenti con vernice verde contro sinagoghe e un noto ristorante del Marais, con tre serbi arrestati mentre tentano la fuga.
Infine, nella notte tra il 9 e il 10 settembre 2025, teste di maiale insanguinate vengono lasciate davanti ad almeno nove moschee dell’Île-de-France: l’acquisto all’ingrosso viene tracciato a un allevatore normanno, e un veicolo con targa serba e un’utenza croata conducono a undici arresti in Serbia, con un presunto coordinatore ancora latitante.
Tutti questi episodi, pur non provando una catena di comando diretta con il Cremlino, delineano un ecosistema di proxy, intermediari e amplificatori digitali che ricalca la dottrina di guerra ibrida attribuibile a Mosca ma mai immediatamente ed ufficialmente verificabie. Guerra ibrida da manuale.
Il metodo
Quasi sempre gli esecutori sono cittadini dell’Europa orientale (Bulgaria, Serbia, Moldavia), in missioni mordi e fuggi. Un volo low-cost, un’auto con targa straniera, un cellulare usa e getta, un’azione ad alto impatto emotivo ripresa in video e subito la fuga verso il Belgio o l’estero. L’obiettivo non è “danneggiare” fisicamente, ma avvelenare la conversazione. Online, la cassa di risonanza è spesso attribuita a reti come Doppelgänger/Recent Reliable News, già individuate da Viginium per l’amplificazione artificiale di contenuti tossici.
I vettori interni
La destabilizzazione, seppur importata, attecchisce perché trova terreno fertile. Le Monde accende un faro sull’“Observatoire de l’immigration et de la démographie (Oid)”, un think tank emerso di recente nel mainstream mediatico francese, capace di fornire “cifre ariete” e framing allarmistici sul tema immigrazione, spesso smentiti o ridimensionati da dati ufficiali ma riprodotti in tv, giornali, e perfino in sedi istituzionali.
Il think tank è un caso di studio importante su come attori domestici possano, anche (apparentemente) senza legami organici con potenze straniere, polarizzare l’arena pubblica e spostare l’attenzione (per non scomodare la finestra di Overton) in chiave securitaria. In un contesto saturo di operazioni informative ostili, questo tipo di produzione discorsiva funziona da catalizzatore.
Qui, il punto, come ricorda la letteratura su Doppelgänger e simili, è la convergenza funzionale. La macchina esterna innesca e amplifica; segmenti interni del dibattito forniscono contenuti e legittimità. Il risultato è una normalizzazione della percezione di crisi perenne (sull’immigrazione, sulla coesione sociale, sull’ordine pubblico), terreno ideale per campagne e narrative divisive su tematiche delicate. In poche parole, se le minacce informative vengono orchestrate dall’esterno, è possibile costruire un ecosistema di difesa e resilienza cognitiva nazionale o, meglio ancora, europeo. Se viene permessa l’infiltrazione di reti interne, nazionali, di vettori di destabilizzazione e fabbricazione della paura, abbiamo invece già perso in partenza.















