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In Burkina Faso arrestati otto membri di una Ong per spionaggio. Fra loro tre europei

La giunta militare del Burkina Faso ha arrestato otto membri dell’Ong internazionale Inso, fra cui tre cittadini europei, accusandoli di spionaggio

Otto membri di una Ong internazionale, riporta LeMonde, fra cui tre cittadini europei, sono stati arrestati in Burkina Faso con accuse pesantissime: spionaggio e tradimento. A renderlo noto è stato il ministro della Sicurezza, Mahamadou Sana, che ha parlato di “attività clandestine e trasmissione di informazioni sensibili a potenze straniere”. Una vicenda si aggiunge nel registro delle tensioni interne al Paese e rivela molto della traiettoria intrapresa dal regime del capitano Ibrahim Traoré e del clima sempre più opaco che caratterizza l’intero Sahel.

Chi sono gli arrestati e perché sono finiti nel mirino

Gli otto fermati appartengono all’International Ngo Safety Organisation (Inso), organizzazione con sede all’Aia che fornisce analisi e supporto in materia di sicurezza al settore umanitario. Fra loro il direttore dell’organizzazione nel Paese, un cittadino francese, la sua vice di origine franco-senegalese, un dirigente ceco, un maliano e quattro burkinabè. Gli arrestati coprivano ruoli di vertice nell’organizzazione e avevano accesso a informazioni rilevanti sul contesto operativo del Paese.

Già a fine luglio le autorità burkinabè avevano sospeso per tre mesi le attività dell’Ong, accusandola di raccogliere dati sensibili senza autorizzazione. Ora però l’accusa si fa più grave: spionaggio a favore di potenze straniere, in un contesto in cui il governo militare vede complotti ovunque e teme ogni forma di influenza esterna.

La narrazione del regime

Secondo il ministro Sana, l’Inso avrebbe “continuato clandestinamente le sue attività nonostante il divieto, raccogliendo informazioni e organizzando incontri in presenza e online”. Una formula che, a prima vista, ricorda il linguaggio della contro-intelligence più che quello da normale amministrazione pubblica.

È la stessa logica che da mesi domina Ouagadougou, quella di costruire l’idea di un Paese assediato da nemici esterni,  jihadisti, servizi occidentali, Ong,  e giustificare così un regime di controllo pervasivo. L’accusa di “collaborare con potenze straniere” diventa lo strumento perfetto per delegittimare qualunque voce autonoma.

Una repressione che non riguarda solo le Ong

Negli ultimi mesi la giunta ha sospeso o revocato l’autorizzazione a operare per decine di Ong internazionali, accusandole di “minacciare la sicurezza nazionale”. Giornalisti locali e stranieri hanno subito pressioni, e diversi attivisti della società civile sono stati arrestati o addirittura arruolati forzatamente al fronte, grazie a un decreto di mobilitazione generale che di fatto legittima la coscrizione obbligatoria arbitraria.

La repressione interna viene giustificata con l’urgenza di combattere l’insurrezione jihadista che da oltre un decennio devasta il Paese con il Burkina Faso continua a perdere terreno di fronte ai gruppi affiliati ad al-Qaeda e allo Stato islamico, che controllano porzioni sempre più vaste del territorio.

Da quando il capitano Ibrahim Traoré ha preso il potere nel settembre 2022, Ouagadougou ha progressivamente reciso i legami con le potenze occidentali, Francia in primis, con accuse verso Parigi riguardo presunti tentativi di destabilizzazione del Paese, utilizzando il jihadismo come pretesto per mantenere la sua influenza. Nel 2023 la giunta ha chiesto il ritiro dei soldati francesi impegnati nella lotta anti-terrorismo, e nel 2024 ha espulso diversi diplomatici. Non è un caso che le Ong francesi e le organizzazioni legate a network occidentali siano diventate bersagli privilegiati, rappresentando, nell’immaginario del regime, l’ultima propaggine di un’influenza coloniale da recidere.

In questo quadro, le Ong internazionali diventano facilmente capri espiatori. Formalmente impegnate in progetti umanitari o di sicurezza, vengono accusate di agire come copertura per servizi occidentali. È accaduto a Bamako, in Mali, dove un cittadino francese è detenuto dall’agosto scorso per presunto spionaggio; ed è accaduto in Burkina Faso, dove già quattro funzionari francesi erano stati imprigionati e liberati solo dopo un anno, grazie a una mediazione marocchina.

Il Burkina Faso non è dunque solo in questa traiettoria, insieme a Mali e Niger, anch’essi guidati da giunte militari ostili a Parigi, Ouagadougou ha dato vita all’Alleanza degli Stati del Sahel (Aes). Un blocco che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe rafforzare la cooperazione militare e ridurre la dipendenza dalle potenze occidentali, presentandosi come alternativa “sovrana” all’Occidente. Non è un caso che i tre regimi abbiano adottato una retorica simile, impostata su sovranità, autodeterminazione e rifiuto dell’ingerenza esterna (tranne quella russa).


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