Il documento dell’Ecfr firmato da Will Brown ricostruisce la metamorfosi dell’influenza russa nel continente africano. Dalla Wagner alla nuova Africa Corps, dalla propaganda di Telegram ai palazzi presidenziali del Sahel, passando per porti strategici sull’Atlantico. Il tutto mentre jihadismo e instabilità continuano ad espandersi
C’è una storia che circola giorno e notte sui social africani. Racconta di una Russia paladina dell’orgoglio e della sovranità del continente, erede di un passato sovietico filo-liberazione. Un racconto in cui Mosca combatte per liberare l’Africa dal giogo occidentale, mentre l’Europa appare come un vecchio impero che non sa più ascoltare. È un racconto potente, molto. Ed è falso.
Il paper “The Bear and the Bot Farm” pubblicato dall’European Council on Foreign Relations, firmato da Will Brown, analizza l’ecosistema della penetrazione russa in Africa: un mosaico di mercenari, disinformazione, accordi opachi e basi portuali che trasformano instabilità e risentimento post-coloniale in strumenti geopolitici.
Burkina Faso. Più propaganda che armi
Da quando Ibrahim Traoré ha preso il potere a Ouagadougou nel 2022, il racconto digitale sul Burkina Faso sembra quella di una potenza emergente: auto elettriche “nazionali”, una banca centrale sovrana, una riscossa economica contro l’Fmi. Video generati dall’intelligenza artificiale costruiscono un’aura rivoluzionaria, con endorsement falsi perfino da star internazionali. Dietro le quinte, scrive Brown, agenti russi sono stati inseriti nei servizi di intelligence burkinabé nel 2023, contribuendo a costruire quella narrazione mentre l’Africa Corps si espandeva nel Paese.
Dalla Wagner all’Africa Corps. La guerra diventa “ufficiale”
Dopo la morte di Prigožin, la Russia ha ricondotto lo strumento mercenario dentro la catena di comando statale. Nasce così la nuova Africa Corps, forte di circa 10.000 uomini, destinati a crescere fino a 40.000 secondo ambizioni del Cremlino, e guidata – spiega l’Ecfr – da figure legate ai vertici della difesa russa. Il reclutamento si allarga anche a giovani africani, attratti da incentivi economici superiori al reddito medio russo. Nel frattempo, l’Africa Initiative, l’ala informativa del dispositivo, forma influencer, attiva bot farm, costruisce reti di propaganda in francese, inglese, arabo e lingue locali. Costruisce reti di influenza e propaganda linguisticamente e culturalmente adattive. Addestra capitale umano. Così, Mosca appare sempre più come una potenza “tuttofare”: militare dove possibile, comunicativa dove conviene.
La disinformazione come arma sistemica
La Russia ha compreso prima di altri un dato demografico: l’Africa è il continente più giovane e più connesso della Terra. Tra 2019 e 2022 oltre 160 milioni di africani hanno avuto accesso a internet. Nel Sahel, dove l’analfabetismo rimane elevato, la propaganda corre veloce, racconta l’Ecfr. RT Afrique e Sputnik Afrique proliferano, mentre centinaia di giornalisti locali vengono pagati per diffondere messaggi filorussi: circa 120 dollari ad articolo, con compensi più alti per chi possiede forti reti WhatsApp, oltre che un elevato social scoring. Il risultato è tangibile: approvazione verso la leadership russa in Africa occidentale in crescita del 22% tra il 2020 e il 2023, mentre Mosca occupa fino a metà della conversazione social in Mali, Burkina e Niger.
Il Sahel come cerniera geopolitica
Nel 2024 Mali, Niger e Burkina Faso hanno creato l’Alleanza degli Stati del Sahel (Aes), subito abbracciata da Mosca con forniture militari e addestramento. Dietro le dichiarazioni ufficiali sul supporto alle operazioni contro il terrorismo jihadista, l’obiettivo strategico della Russia sembra quello di voler isolare il Sahel dal resto dell’Africa occidentale, minando Ecowas e ampliando la propria influenza in un’area nevralgica per i flussi migratori verso l’Europa. Se le capitali cadono, l’instabilità si riversa inevitabilmente verso il Mediterraneo. Se resistono, lo fanno grazie a Mosca. In entrambi i casi, il Cremlino guadagna. Mai sprecare delle buone crisi, soprattutto se puoi provocarle.
L’arco dei porti
Seguendo una strategia simile a quella dei cugini di Pechino, Mosca punta alle infrastrutture portuali presenti in Guinea Conakry, Togo, Guinea-Bissau, Equatorial Guinea e São Tomé e Príncipe. In questi Stati si trovano i porti nei quali la Russia cerca accesso logistico, basi navali, presenza strategica atlantico-mediterranea o, ancora, euromediterranea. Cercando un pertugio nelle rotte marittime, nell’approvvigionamento energetico europeo, nella logistica portuale africana.
L’Europa?
Brown evidenzia un paradosso: l’Unione europea ha perfezionato l’analisi della minaccia russa ma gli strumenti usati finora (sanzioni, prudenza diplomatica, ritirata politica) hanno in realtà concesso a Mosca la libertà di agire, lasciando alla Russia la gestione di crisi destinate a peggiorare. Il problema, sottolinea il paper, è che il vuoto lasciato dall’Europa non rimane vuoto: lo occupano altri. In questo caso, ancora una volta, Mosca.
















