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L’impresa sostenibile alla prova del contenzioso climatico. Scrive Giordano

Di Andrea Giordano
climate change cop 24

La transizione ecologica è un percorso che richiede una sinergia consapevole degli operatori che, investendo in sostenibilità, investono sul futuro di tutti e di ciascuno. Sta alle istituzioni promuovere una rinnovata etica della responsabilità con misure incentivanti che portino a sintesi il particolare della singola iniziativa con l’universale della causa climatica. La riflessione di Andrea Giordano, magistrato della Corte dei conti

Il clima è un bene comune. La sua rilevanza impone l’effettività della sua tutela. L’ordine giuridico globale, nel contesto polifonico dei “tribunali di Babele”, sembra compiere passi sempre più decisi nell’ottica della giustiziabilità del bene climatico.

A dimostrarlo è la recente ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 21 luglio 2025, che, in sintonia con la giurisprudenza di molti Paesi, ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario rispetto a una controversia tesa a far valere la responsabilità di una società a partecipazione statale per i danni scaturiti dal cambiamento climatico.

La linea non è estranea alla giurisprudenza sovranazionale. La Corte internazionale di giustizia ha ritenuto che grava sugli Stati, l’obbligo di assicurare la protezione del clima (parere del 23 luglio 2025), mentre la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato la Svizzera responsabile, per non aver adottato misure tese al contrasto degli effetti del cambiamento climatico (sentenza del 9 aprile 2024).

Se il contenzioso di cui all’ordinanza della Cassazione seguirà il suo corso nel merito (passando per la verifica dell’assolvimento, da parte degli attori, dei non agevoli oneri di allegazione e prova), certa è l’importanza del ruolo delle imprese rispetto al climate change.

La Corporate Sustainability Reporting Directive (Direttiva Ue 2022/2464) ha dato sostanza all’obbligo di rendicontazione non finanziaria, fornendo regole sulla documentazione delle attività aziendali in termini ambientali, sociali e di governance (Esg).

Implementa, poi, la cultura della responsabilità sociale delle imprese la recente Corporate Sustainability Due Diligence Directive (Direttiva Ue 2024/1760).
Nel dare cittadinanza all’obbligo delle grandi imprese di ridurre le esternalità negative delle loro attività su diritti umani e ambiente, la Direttiva prevede che gli Stati membri provvedano a che ciascuna di esse adotti un piano atto a garantire che il modello di business e la strategia aziendale perseguiti siano compatibili con la transizione verso un’economia sostenibile.

E i doveri si estendono oltre il perimetro aziendale.

La Due Diligence, per come evocata dalla Direttiva, non è più soltanto legata a singole operazioni o al modello di business perseguito, ma finisce per incidere sull’intera supply chain, rendendo la grande impresa responsabile anche rispetto ai partner commerciali che la precedono o seguono nella filiera.

Spetta ai singoli Stati attuare la Direttiva, valorizzando gli strumenti che esistono nell’ordito positivo.
Il contratto non è mero strumento di allocazione o riallocazione di beni; a orientarne la funzione è la clausola di meritevolezza, che impone alle parti di considerare la sostenibilità climatica nell’economia delle pattuizioni.

Che l’impresa sia mezzo al fine del profitto non esclude che contestualmente realizzi obiettivi ecosostenibili.
L’ampia clausola della diligenza qualificata, che permea lo statuto degli amministratori, consente di considerarli responsabili di policy aziendali troppo timide rispetto alla necessità di ridurre le emissioni climalteranti; e l’articolo 2086 del Codice civile, per come novellato dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, obbliga all’adeguatezza, anche rispetto agli obiettivi internazionali in materia climatica, degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili.

Residua lo spazio della business judgement rule, che bilancia i doveri con quella dose di autonomia connaturale al ‘fare impresa’ e tale da giustificare la stessa intrapresa di attività economiche, fisiologicamente rischiose.

Occorrono, a monte, scelte di policy lungimiranti e, a valle, interpretazioni pretorie equilibrate perché tutela del clima e protezione delle iniziative imprenditoriali convergano in un’unica direzione, nel solco dei riformati articoli 9 e 41 della Carta costituzionale.

La transizione ecologica non si raggiunge dall’oggi al domani; è, piuttosto, un percorso che richiede una sinergia consapevole degli operatori che, investendo in sostenibilità, investono sul futuro di tutti e di ciascuno. Sta alle istituzioni promuovere una rinnovata etica della responsabilità con misure incentivanti che portino a sintesi il particolare della singola iniziativa con l’universale della causa climatica.


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