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Putin in Tagikistan, la Russia cerca di riaffermare la sua influenza in Asia Centrale

L’arrivo di Vladimir Putin in Tagikistan trasforma Dushanbe nel teatro di una doppia partita. Quella multilaterale, con i summit Russia–Asia Centrale e Csi, e quella bilaterale con il presidente Emomali Rahmon

Vladimir Putin atterra a Dushanbe per la sua prima visita di Stato in Tagikistan. L’appuntamento fa della capitale tagika il cuore della diplomazia post-sovietica per qualche giorno per la discussione di due dossier centrali: la riunione del Consiglio dei capi di Stato della Csi (Comunità degli Stati indipendenti) e il secondo vertice Russia-Asia Centrale.

Lo scenario

La cornice è quella di una relazione storica, oggi attraversata da incrinature profonde. Da un lato, Mosca resta il garante della sicurezza di Dushanbe, con la presenza della base militare 201, la più grande installazione russa all’estero, e la cooperazione nel quadro Csto e Sco. Dall’altro, il Tagikistan dipende in maniera vitale da Mosca. Oltre un milione di lavoratori tagiki risiede in Russia e le loro rimesse valgono circa la metà del Pil nazionale.

Le incrinature, invece, provengono dall’attentato al Crocus City Hall di marzo 2024, attribuito a militanti originari del Tagikistan, che ha scatenato una nuova ondata di xenofobia e controlli aggressivi contro i migranti centroasiatici. Dushanbe si è trovata così in bilico tra la necessità di difendere i propri cittadini e l’impossibilità di rompere un legame economico e securitario imprescindibile.

Dipendenza economica o trappola sociale?

Il flusso delle rimesse sembra costituire un salvagente per i conti pubblici e il tessuto sociale tagiko e un cappio che rende il Paese ostaggio delle decisioni di Mosca. Se la Russia stringe le maglie burocratiche, ovvero introduce l’obbligo di preregistrazione digitale, la raccolta di dati biometrici o avvia procedure di espulsione accelerate, le famiglie tagike rischiano di precipitare in difficoltà immediate.

La guerra in Ucraina ha poi complicato ulteriormente il quadro. Organizzazioni per i diritti umani denunciano pressioni di Mosca su migranti centroasiatici, compresi i tagiki, affinché si arruolino nelle forze armate russe in cambio di promesse di cittadinanza o minacciati da ricatti amministrativi. Questo ha rivolti non trascurabili su sicurezza nazionale e regionale, dovuti al ritorno forzato di decine di migliaia di giovani senza prospettive lavorative interne, che rappresentano un terreno fertile per la propaganda di Isis-K e di altri gruppi jihadisti attivi lungo il confine afghano.

Mosca tra retorica e realpolitik

Il Cremlino attua una duplice strategia. Da un lato, il pugno duro sugli stranieri in risposta alle pressioni dell’opinione pubblica; dall’altro, la consapevolezza che l’economia russa, già colpita da mobilitazione militare e declino demografico, non può fare a meno di lavoratori migranti nei settori a bassa specializzazione. Putin in persona ha riconosciuto il loro ruolo essenziale in edilizia e manifattura, pur continuando a cavalcare narrazioni nazionaliste che alimentano sospetto e diffidenza.

Il Summit di Dushanbe

Ospitare in sequenza il vertice Russia-Asia Centrale e il Consiglio della Csi significa per il Tagikistan presentarsi come ponte regionale, capace di attrarre attenzione e investimenti. I dossier sul tavolo spaziano dalla cooperazione economica a quella militare, fino a un’ipotesi di “Cis Plus” per aprire il formato a partner esterni.

L’appuntamento rappresenta anche l’occasione per Mosca di sottolineare il proprio ruolo come perno insostituibile nell’architettura regionale, nonostante la crescente assertività di Cina e Unione europea. Non a caso, Xi Jinping e Bruxelles hanno già introdotto, rispettivamente con la Belt and Road e con un pacchetto da 15 miliardi, strumenti alternativi per consolidare la loro presenza in Asia Centrale. Sul piano bilaterale, l’incontro con Emomali Rahmon (al potere ininterrottamente dal 1992) avrà come priorità la tutela dei lavoratori tagiki e nuove intese economiche.

Mosca dovrebbe annunciare un parco industriale a Dushanbe, mentre la delegazione russa include ministri del Lavoro e della Sicurezza, segno della centralità del dossier migratorio. Rahmon nel 2022 aveva rimproverato Putin di trattare i “piccoli Paesi” centroasiatici con sufficienza sovietica e per lui, strappare garanzie su diritti e rimesse significherebbe rafforzare il consenso interno, mentre per lo Zar l’appuntamento rappresenta anche una modalità per tenere il legame con un partner cruciale lungo il confine afghano. Mosca punta a mostrarsi come garante principale della stabilità regionale, nonostante il logoramento causato dalla guerra in Ucraina e la competizione (anche interna) tra potenze globali in Asia Centrale.


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