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Dallo Zar al Dragone, la bussola di Sir Richard Moore per navigare il disordine globale

Richard Moore ha lasciato la guida dell’MI6 dopo cinque anni attraversati da crisi, guerre e fratture geopolitiche. Parla di un mondo straordinariamente contestato, pieno di “fili sciolti”, dove le vecchie regole del dopoguerra non valgono più. Un quadro che il veterano dell’intelligence descrive con la calma di chi ha passato la vita a leggere segnali nel rumore di fondo

In una conversazione con il Financial Times in un ristorante turco‐georgiano di Soho e negli studi di Bloomberg a Londra, Richard Moore, fino a poche settimane fa capo dell’MI6, ha messo in fila il suo bilancio di 38 anni nel grande gioco e la sua lettura del mondo di oggi. Un quadro utile alla comprensione di cosa accade e del perché la “guerra di nervi” riguardi tutti noi, nessuno escluso.

Da Mosca

Il primo scenario riguarda la Russia. Moore non crede a una soluzione negoziata, non ora. Putin, sostiene, non è interessato a trattare: “sta cercando di giocarci”.

Nel ritratto di Moore, lo zar è un leader a due facce: calcolatore freddo, capace di stringere compromessi tattici quando conviene, e ideologo convinto che l’Ucraina non abbia diritto a esistere. Per l’ex capo dell’MI6 non è una battaglia su porzioni di territorio, ma un progetto di dominio. Per questo, insiste, la partita è ancora “vincibile”, a patto che l’Occidente non si ritiri psicologicamente – qui l’aspetto cognitivo dei nostri tempi, in tutta la sua importanza – prima che sul campo.

Moore insiste poi sulla necessità di aumentare la pressione su Mosca, di garantire a Kyiv la possibilità di colpire anche in profondità. L’obiettivo? Forzare Putin a scegliere tra la sua ambizione storica e la sua stessa sopravvivenza politica.

A Pechino

Il secondo fronte è la Cina. Moore la definisce un mix di opportunità e minaccia, un avversario che combina risorse, persistenza, approccio a lungo periodo, pazienza e un apparato di sorveglianza esportato ben oltre i confini nazionali. La Cina non smette mai di testare la resilienza occidentale, e lo fa in un ecosistema strategico che considera l’Occidente in declino fin dalla crisi finanziaria globale. Moore avverte che ogni esitazione su Ucraina è un messaggio diretto tanto a Mosca quanto a Pechino. Xi Jinping osserva con attenzione e una debolezza a Est potrebbe tradursi in nuove pressioni nel Mar Cinese Meridionale o intorno a Taiwan.

Il grande gioco

Per quanto concerne il lavoro di intelligence, Moore mantiene un pragmatismo del tutto necessario. Nessun moralismo: tutti spiano tutti, questo è il gioco. Ma stabilisce anche una soglia netta fra l’intelligence e la guerra ibrida russa (e non solo), fatta di incendi, sabotaggi e tentativi di assassinio. Quelle non sono operazioni clandestine, ma attacchi diretti. Per questo considera la Russia un avversario qualitativamente diverso.

Nella sua analisi emerge anche il rapporto con gli Stati Uniti che, senza entrare nel terreno politico, ma lascia intendere che, nonostante le possibili tensioni, si debba lavorare per garantire al circuito di intelligence la continuità operativa necessaria.

Per quanto riguarda lo sviluppo dirompente delle tecnologie e dell’IA, Moore parla di una modernizzazione che considera indispensabile tanto quanto la consapevolezza della tecnologia come arma e trappola. I sistemi di sorveglianza cambiano l’operatività, ma l’intelligenza artificiale consente di setacciare enormi quantità di dati e individuare nuovi asset umani.

Da qui, la dottrina dell’”aprirsi per rimanere segreti”, che vede il lancio di Silent Courrier nel dark web per attirare potenziali fonti; l’apertura del centro ingegneristico Hmgcc, vicino a Milton Keynes, come una sorta di “Q Labs” dove start-up e innovatori possono entrare e discutere con gli apparati di sicurezza e la creazione del National Security Strategic Investment Fund (Nssif), un veicolo di venture capital che investe in tecnologie dual use d’interesse per la comunità di intelligence.

In chiusura, Moore ritorna alla frase che lo accompagna come un codice morale: per essere una buona spia, bisogna “prendere il mondo per quello che è”. È una lezione che applica anche all’Occidente. Non c’è spazio per illusioni su Putin né per compiacimenti verso Pechino. La posta in gioco è alta, si tratta di credibilità, deterrenza, capacità di resistenza. La guerra in Ucraina è uno specchio in cui si riflettono non solo le ambizioni di Mosca, ma i calcoli della Cina e la solidità dell’alleanza occidentale. È una guerra di volontà, uno status quo globale fatto da fili sciolti, dove la moltiplicazione dei focolai di crisi e la saturazione dell’ecosistema informativo spingono ad una distorsione della percezione dell’ambiente circostante. Ecco perché diventa importante “guarda il mondo per quello che è, non come vorremmo che fosse”, senza idealismi o illusioni ma anche senza ingenuità.


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