La guerra ibrida non è certo una novità per l’intelligence italiana, che da dieci anni monitora in modo costante e strutturato l’evoluzione della minaccia ibrida, accompagnando le analisi tecniche con comunicazioni ufficiali e allarmi ripetuti indirizzati sia alla classe politica nazionale sia ai partner europei. Ecco come
Nonostante l’eco mediatico e politico delle ultime settimane e giorni abbiano ora acceso i riflettori sull’argomento, la guerra ibrida non è certamente un elemento di novità per i nostri apparati di intelligence. Da oltre un decennio, infatti, l’intelligence italiana monitora, studia e contrasta il panorama delle minacce ibride rivolte verso la Repubblica. Le Relazioni del Sistema di informazione per la Sicurezza della Repubblica raccontano infatti come l’Italia abbia individuato le evoluzioni e le modalità di attacco e di intrusione dei vettori ibridi all’interno dei tessuti democratici, segnalando come la nostra intelligence non sia mai stata indietro ma abbia, continuamente e minuziosamente, ricomposto i tasselli di un mosaico globale che oggi, composto, chiamiamo come guerra ibrida.
Già nel 2022, infatti, il Copasir segnalava le minacce ibride come una “vera e propria guerra permanente”, e come in gioco ci fosse “la reputazione e la credibilità internazionale dell’Italia, che ha espresso con forza la propria collocazione euroatlantica”.
La variabile asimmetrica
Nel 2016 il lessico del Comparto intelligence italiano anticipa molte delle categorie concettuali di oggi. La Relazione insiste sulla “variabile cibernetica come strumento di offesa” che gioca un ruolo determinante nell’“evoluzione e attualizzazione del cd. conflitto ibrido”, con attori capaci di operare in modo informale, discontinuo, sfruttando social media e nuovi device per campagne seriali difficili da attribuire. In parallelo: il terrorismo jihadista viene descritto come “multiforme, transnazionale ed endogeno, tecnologico, strutturato ma anche fluido e dematerializzato” e capace di sfruttare reti e flussi informativi globali; mentre la minaccia cyber rappresenta qualcosa di diverso, letta in chiave “conflitto ibrido e asimmetrico”, con scenari di cyber-espionage e cyber-warfare combinati a operazioni di guerra psicologica.
Il salto concettuale avviene con l’invasione russa in Ucraina. La Relazione 2017 parla esplicitamente di “nuovo paradigma, ibrido, del confronto fra Stati”, dove la convergenza di strumenti convenzionali e non convenzionali, incluse operazioni di influenza e ingerenza, ha l’effetto di rimettere in discussione categorie consolidate come attribuzione, proporzionalità della risposta ed efficacia della cornice giuridica. La relazione parla anche di campagne di influenza basate su informazioni trafugate via cyber-attacchi e rileva un aumento sistematico delle minacce ibride in prossimità di processi elettorali negli Stati democratici.
Evidenziando campagne di influenza che partono dalla diffusione online di informazioni trafugate tramite attacchi cyber, con l’obiettivo di condizionare il sentiment dell’opinione pubblica, specie in fase elettorale; e prevedendo un “aumento delle minacce ibride, specie in prossimità di passaggi cruciali per i sistemi democratici”, la Relazione del 2017 segna il passaggio dalla guerra ibrida tra apparati alla minaccia ibrida contro le democrazie.
La definizione concettuale
La Relazione 2018 cristallizza il concetto: “sono nettamente cresciute le preoccupazioni per la minaccia ibrida”, definita come impiego sinergico di strumenti convenzionali e non, comprese manovre di ingerenza e influenza, per condizionare processi decisionali e formazione dell’opinione pubblica, comprimendo la sovranità dell’avversario. Qui, l’analisi indica la dimensione cyber come “vettore e ambiente elettivo” della minaccia ibrida, dove si traslano tensioni, competizioni e dissidi, registrando, sul piano operativo: campagne di spionaggio digitale riconducibili a gruppi strutturati contigui ad apparati governativi; uso crescente di false flag, riuso di malware e infrastrutture commerciali per offuscare l’attribuzione; prime esperienze sistematiche di monitoraggio di possibili interferenze sui processi elettorali nazionali ed europei.
Nel 2019, un’ulteriore evoluzione operativa. La Relazione sottolinea come la minaccia ibrida si caratterizzi per il “prevalente impiego di strumenti cyber per indebolire la tenuta dei sistemi democratici occidentali”. L’intelligence attiva dunque esercizi dedicati in corrispondenza delle elezioni europee, in parallelo alle iniziative Ue contro disinformazione e interferenze. Mentre, contemporaneamente, sul fronte difensivo, l’Italia costituisce il Perimetro di sicurezza nazionale cibernetica, lavora sul rafforzamento dei poteri di screening tecnologico e di investimento (es. Golden Power sul 5G) e consolida il ruolo del Csirt nazionale e del Nucleo per la Sicurezza Cibernetica.
Nelle Relazioni del biennio 2018-2019, la minaccia ibrida diviene un vero e proprio driver di policy, con risposte normative e architetturali dedicate.
La pandemia e l’infodemia
Il 2020 è lo spartiacque cognitivo. La Relazione parla di una “elevatissima produzione di fake news e narrazioni allarmistiche” sulla pandemia, che genera un “surplus informativo (infodemia) di difficile discernimento”, alimentato dagli algoritmi dei social media e dalla logica delle echo-chamber. Viene chiaramente evidenziato come la guerra ibrida, qui cognitiva, sia mirata ad aggravare le fratture e le linee di faglia già presenti, trovando nella pandemia da Covid-19 un campo operativo perfetto, tra incertezza, fratture sociali e politiche, paura diffusa.
Il quadro che ne emerge è quello che vede attori statuali ostili combinare campagne disinformative e attacchi cibernetici per sfruttare l’onda emotiva dell’emergenza sanitaria e trasformarla in vantaggio strategico di lungo termine, influenzando opinione pubblica, processi decisionali e asset economici. Qui, l’Ue risponde con un Piano d’azione contro la disinformazione su Covid-19, mentre il Comparto italiano promuove raccordi e cooperazione internazionale dedicati.
Un anno dopo, ancora alle prese con le evoluzioni pandemiche, la Relazione offre una definizione tecnica, completa e ormai matura di quello che le minacce ibride rappresentano: l’impiego combinato di tutti gli strumenti di cui dispone uno Stato sovrano (Diplomatico, Militare, Economico, Finanziario, Intelligence, Law Enforcement) e il mantenimento “sotto soglia” delle proprie azioni ostili, per rendere difficile attribuzione e risposta. Tutto questo, tramite lo sfruttamento delle vulnerabilità sistemiche del target per condizionare decision-making, esercizio del voto, libertà di espressione, anche tramite il dominio cyber. I concetti evidenziati già nel 2021 restano centrali anche oggi: plausible deniability come fattore di attrattività della minaccia ibrida e campagne di disinformazione parallele a offensive digitali in concomitanza con l’emergenza sanitaria, volte a incidere sul tessuto sociale e ottenere vantaggi strategici.
In pratica, con la pandemia Covid la guerra ibrida smette di essere percepita come “eccezione” e diventa il rumore di fondo permanente del dibattito pubblico.
La weaponizzazione delle vulnerabilità
La guerra russo-ucraina segna l’ingresso in una fase strutturalmente conflittuale del sistema internazionale, e la minaccia ibrida ne diventa il principale moltiplicatore. La Relazione 2022 descrive la Russia impegnata in una “campagna ibrida contro l’Occidente a supporto di quella militare contro l’Ucraina”, con l’obiettivo di dividere il fronte transatlantico, allontanare Ue dagli Usa e destabilizzare i Paesi Nato. L’analisi individua i principali canali di perpetuazione delle campagne ibride, evidenziando il dominio cognitivo come spazio cruciale, all’interno del quale venivano – e tuttora vengono – orchestrate operazioni di manipolazione della percezione, narrazioni sul conflitto, campagne per minare la fiducia in istituzioni Ue e Nato. All’interno dello spettro ibrido, la Relazione individua poi lo sfruttamento delle forniture energetiche come leva ibrida per condizionare politiche europee, l’uso del fenomeno migratorio come “weaponization”, strumentalizzando i flussi verso i Paesi europei in chiave destabilizzante. Le analisi fotografano, accanto alle operazioni ostili di Mosca, una Cina che agisce in modo più discreto ma strutturale, sfruttando diaspora, cooperazione accademica, accesso a tecnologie dual-use per operazioni di influenza e attività di propaganda internazionale.
Accanto alle azioni condotte da apparati statali, la Relazione del 2023 evidenzia l’evoluzione proxy della minaccia, con il ricorso sistematico da parte di Stati sponsor a gruppi criminali e collettivi hacktivisti come proxies per azioni meno sofisticate ma pericolose, funzionali tanto ai loro interessi illeciti quanto alle finalità strategiche dei governi che li impiegano. Congiuntamente, il Comparto individua il crescente uso di tool reperibili su deep/dark web per dare alle offensive statuali l’apparenza di “semplice” cyber-crime. È il perfezionamento della “plausible deniability” operativa: lo Stato delega e si scherma dietro l’illegalità altrui.
Ue e G7 nel mirino. Roma si muove per il contrasto
La Relazione 2025 mostra un salto di qualità nella natura della minaccia. La Relazione 2025 mette in campo una fotografia nitida: l’Italia è nel mirino di una serie di operazioni ibride che usano l’infosfera come un campo di battaglia permanente. Mosca resta il principale burattinaio, che muove una costellazione di attori governativi e para-governativi alla base di propaganda, amplificazione digitale, reti di troll e bot. Una macchina esperta che mira a indebolire l’Europa, rompere la fiducia nei governi, corrodere l’opinione pubblica.
Nella Relazione, vengono individuati due fronti principali: le elezioni europee e la presidenza italiana del G7. Con operazioni volte alla delegittimazione delle istituzioni Ue e alla rappresentazione del G7 come di una piattaforma “russofobica”, controllata dagli Stati Uniti. L’Europa, nel frame propagandistico, appare succube, impegnata in politiche dettate da Washington.
Congiuntamente, la Relazione rileva la convergenza spontanea o pilotata tra propaganda russa e galassie antisistema locali, tra No-Vax, No Green Pass, movimenti complottisti e gruppi antagonisti, ai quali si aggiunge il ruolo degli influencer filorussi.
Il Comparto individua anche le vaste operazioni di influenza filo-cinese in Italia, parte di una campagna globale rivolta ai Paesi occidentali per ampliare la sfera di influenza dei Brics e delegittimare quella atlantica.
Oltre all’analisi, gli apparati di informazione e sicurezza hanno riportato le risposte italiane di fronte agli attacchi ibridi. Prima in ambito Ue, con il gruppo HWPERCHT e con il nuovo regime sanzionatorio contro le operazioni ibride russe, poi all’interno del G7, tramite il Rapid Response Mechanism ed, infine, con gli Stati Uniti, attraverso un Memorandum d’intesa per lo scambio informativo e le strategie congiunte. Mentre, sul piano interno, Intelligence, Maeci, Agcom, Acn e Polizia Postale formano una rete di vigilanza sulle interferenze digitali e sulla comunicazione pubblica.
L’intuizione del Copasir: la guerra permanente nella sfera informativa
Già nel 2022, la Relazione del Copasir aveva dato prova di come l’Italia fosse ben consapevole delle minacce dirette alla sicurezza della propria Repubblica. L’indagine conoscitiva del comitato sull’avanguardia della guerra ibrida, valutava con finalità preventiva la macchina dell’informazione, la propaganda, il condizionamento e le ingerenze straniere. La guerra ibrida veniva già descritta come “vera e propria guerra permanente” condotta da Russia (e non solo) contro le democrazie occidentali, attraverso spazio cibernetico, fake news, social network, condizionamento dell’informazione pubblica e privata; mentre la “macchina della disinformazione” russa e cinese venivano già viste come armi a doppia finalità: controllo interno (narrazioni antioccidentali e illiberali) e penetrazione esterna, economica, tecnologica e cognitiva. L’Italia, considerata Paese target particolarmente sensibile, a causa della sua collocazione euro-atlantica e mediterranea, veniva dunque chiamata all’adozione di strumenti di contrasto come altri Stati – la Svezia e la sua Psychological Defence Agency, ad esempio – avevano già fatto. In gioco, per il Paese, il Copasir individuava allora come elementi in pericolo “la reputazione e la credibilità internazionale dell’Italia, che ha espresso con forza la propria collocazione euroatlantica”, evidenziando come l’indagine conoscitiva condotta dall’organo parlamentare avesse finalità preventive per “evitare sottovalutazioni che rischiavano di aggravare le forme di possibile condizionamento”. Le considerazioni del Copasir risultano ancora oggi valide e gli ultimi sviluppi ne confermano l’assoluta rilevanza e la necessità, dal dossier Crosetto alle considerazioni del Consiglio Supremo di Difesa, di proteggere la reputazione e la credibilità internazionale della Repubblica, così come la sua collocazione euroatlantica, di fronte agli attacchi ibridi e cognitivi che ci vedono oggi come bersagli principali.
















