La crisi del sistema multilaterale del commercio riflette la crescente competizione tra le grandi potenze e il progressivo indebolimento dell’Organizzazione mondiale del commercio. Il blocco del meccanismo di risoluzione delle controversie e le divergenze tra i Paesi membri ostacolano il processo di riforma avviato nel 2022. La revisione dell’Omc sarà il banco di prova della capacità delle istituzioni globali di adattarsi a un ordine economico in trasformazione. L’analisi di Fabrizio Braghini
Le tensioni internazionali, con la crescente competizione tra le grandi potenze, hanno messo in crisi il sistema che dal 1947 garantisce la regolamentazione degli scambi commerciali, l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc o Wto). Rappresentativa della crisi del multilateralismo è la marginalizzazione di questa istituzione, da tempo criticata per scarsa efficienza (procedure laboriose e lunghe) ed efficacia (attuazione delle decisioni), in riferimento al blocco del suo sistema di risoluzione delle controversie che ne impedisce l’operatività.
Per reazione, emergono atteggiamenti e iniziative unilaterali o bilaterali tra i Paesi sulle rispettive dispute commerciali che sfruttano la minaccia di ricorrere all’Omc se non si arriva a compromessi diplomatici. L’Omc diventa quindi un’arma da non utilizzare. Ma la questione sostanziale è che l’istituzione soffre per il malfunzionamento dei suoi meccanismi. Si è dunque avviato tra i Paesi membri un ampio quanto lento (forse stanco?) dibattito circa la necessità di una riforma dell’Omc, del suo ruolo e dell’urgenza di una revisione dell’attuale sistema di risoluzione delle controversie. Ma questo è bloccato da alcuni anni dagli Stati Uniti per non aver nominato un giudice, il che non consente il ricorso al giudizio di appello dell’organismo.
Il 5 novembre l’ambasciatore norvegese Olberg, in qualità di Facilitatore Omc della “comprehensive review” lanciata nel 2022, ha illustrato lo stato dettagliato delle consultazioni che riflette l’attuale valutazione delle delegazioni – in varie configurazioni – sulla riforma dell’istituzione, in preparazione della prossima Conferenza Ministeriale.
Se si confermano le dichiarazioni sull’impegno a modernizzare preservando alcuni strumenti multilaterali, rimangono tuttavia divergenze di fondo tra i Paesi, e di non poco conto, come la chiarezza degli obiettivi (“reform – to what end?”) e delle interpretazioni. In sostanza, le aree considerate prioritarie riguardano il processo decisionale (rule making, fair competition, state subsidies alle imprese – leggasi Cina – e relativa implementazione) e lo sviluppo (trattamenti preferenziali). Da notare che si è sottolineato che un “trust deficit” deriva da questioni istituzionali e non dalle procedure. Sono emerse anche idee controverse sull’utilizzo del voto (utilizzato una sola volta e considerato un errore) nei casi in cui una “consensus based decision” sia bloccata.
In pratica, una volta giunti ad un accordo sulla riforma, le nuove misure andrebbero a modificare gli Accordi Omc esistenti, comportando effetti settoriali significativi. Ma anche se alcune differenze vengono ridotte, piccoli progressi rischiano di non incidere sull’obiettivo di una riforma del sistema attuale, e di perdere la fiducia sulla capacità di azione dei membri, la cui attenzione sul tema Commercio non è più a Ginevra. I pragmatici e strutturati lavori tecnici preparatori gestiti da Olberg riusciranno a superare quel diffuso senso di disillusione che aleggia quando si affronta l’argomento della riforma dell’Omc?
















