Il cosiddetto “giornalismo di inchiesta” nel nostro Paese non esiste più. Parlo, principalmente, del giornalismo di inchiesta nelle trasmissioni televisive. E non solo dei talk quotidiani che, salvo rarissimi casi, si sono trasformati in una sorta di “curva sud” funzionali esclusivamente alle tifoserie politiche organizzate e contrapposte. L’opinione di Giorgio Merlo
Credo lo si possa dire tranquillamente. E cioè, il cosiddetto “giornalismo di inchiesta” nel nostro Paese non esiste più. Parlo, principalmente, del giornalismo di inchiesta nelle trasmissioni televisive. E non solo dei talk quotidiani che, salvo rarissimi casi, si sono trasformati in una sorta di “curva sud” funzionali esclusivamente alle tifoserie politiche organizzate e contrapposte.
Ora, per essere ancora più chiari, ci sono due elementi di fondo, e strutturali, che impediscono alla radice di riproporre oggi, seppur in forma aggiornata e rivista, lo storico giornalismo di inchiesta che abbiamo potuto conoscere ed apprezzare nel passato. O per averlo visto in quagli anni o per averlo sentito raccontare – e comunque visto – negli ultimi anni. Da quello di Sergio Zavoli, “maestro” e “monumento” del giornalismo italiano a quello di Enzo Biagi, altrettanto apprezzato e giornalista di qualità e di molti altri qualificati ed autorevoli giornalisti che si potrebbero citare. Ma, per fermarci a Zavoli e alle sue straordinarie inchieste che resteranno nella storia politica, culturale, televisiva, sociale – nonchè giornalistica – del nostro Paese, credo che i due elementi da sottolineare oggi sono alquanto semplici e netti. Elementi che, di fatto, bloccano alla radice un credibile, oggettivo e qualificato giornalismo di inchiesta.
Il primo elemento è la progressiva e definitiva trasformazione del giornalismo di inchiesta in un giornalismo di attacco politico, di distruzione personale e culturale dell’avversario/nemico e, in ultimo, di esaltazione della possibile e potenziale alternativa politica. Un dato talmente chiaro, palese ed inequivoco che non merita neanche di essere ulteriormente approfondito. In secondo luogo non è giornalismo di inchiesta quello che ha sempre e solo una finalità dichiaratamente e spudoratamente politica. Ovviamente di parte. Un giornalismo che, oggettivamente, relega l’approfondimento senza finalità politiche ad un fatto largamente e strutturalmente minoritario rispetto all’impianto complessivo del singolo progetto editoriale. Del resto, è sufficiente fare una banale domanda sul confronto con il passato per rendersene conto. Ma c’è qualcuno che in Italia si ricorda di uno dei tanti ‘capolavori’ ispirati ad un vero e credibile giornalismo di inchiesta di Sergio Zavoli che abbia attaccato frontalmente e violentemente un partito, un leader politico o uno schieramento politico preciso e ben definito? Non credo ci sia un minimo indizio in questa direzione.
Ecco perché quando oggi si celebra o si esalta il valore del giornalismo di inchiesta televisivo viene quasi da sorridere. Perché si tratta, oggi e non ieri, di attacchi scomposti e mirati contro un partito, contro i leader di quel partito e contro i leader di un ben preciso schieramento politico. È giornalismo di inchiesta questo? Ovviamente no, come sanno quasi tutti del resto. Questo è semplicemente, e del tutto legittimamente, giornalismo politico che fa un lavoro politico, che ha un fine politico e che coltiva un obiettivo politico. A volte, è tutto molto più semplice di quel che appare.
















