Gratis, poi 20 dollari, poi 200. La strategia dell’AI generativa è quella del pusher di cui avevano paura le nostre mamme? Creare dipendenza e poi monetizzare. Un’analisi di Andrea Laudadio su 48 mesi di dati rivela deflazione nascosta, shrinkflation silenziosa e un oligopolio che atterra sugli stessi prezzi. Ma il golden age potrebbe essere solo temporaneo: quando il venture capital finirà, forse, qualcuno ci presenterà un conto molto salato
Mia madre me lo diceva sempre, quando uscivo per andare a scuola: “Non accettare le caramelle dagli sconosciuti!” Nel tempo, ho capito la sua preoccupazione. Erano gli anni ’80-’90. Le droghe erano la grande paura. Mia madre credeva, convintamente, che la strategia di marketing dei pusher fosse questa: darti con l’inganno la droga gratis, indurti dipendenza e averti come cliente fino alla fine.
Non so dirvi che delusione sia stata per me — che le volevo provare — scoprire che il pusher, sotto scuola, non aderisse mai a questa promozione. Per lui il “black friday” era il venerdì quando arrivava il “nero afgano” e non c’erano sconti! Mia madre, come tutte le madri, non si sbagliava. Ci ho messo tempo a capirlo!
Nella Silicon Valley, dove fanno tesoro di quello che dicono le madri (si pensi al best seller “Would You Do That to Your Mother?” di Jeanne Bliss), questa tecnica l’hanno usata con l’AI. Te la do gratis, poi quando non ne puoi fare a meno, ti chiedo qualcosina, poi quando “vai a rota” scatta il premium, il plus, il pacchetto dei crediti… ed ecco qua, che ho davanti a me il viso di mia madre che dice: “io te lo avevo detto! Tu non mi ascolti mai!”
Mia madre, altra generazione, da sempre sospettosa di qualsiasi cosa “gratis”, aveva paura, per me, che cadessi nel mondo del freemium. La strategia regina per l’acquisizione clienti delle aziende così capitalizzate da potersi permettere di non porsi, per mesi e anni, il problema delle perdite di erogare gratuitamente un servizio. Il principio è identico a quello dei pusher che lei immaginava: abbatti la barriera d’ingresso, crea dipendenza, poi monetizza.
Quello che mia madre non immaginava era il gradino successivo: la flat subscription. L’abbonamento e quell’insana tentazione di risparmiare sottoscrivendolo per un anno nella quale spesso cado, per poi pentirmene. Qui c’è quasi sempre il tiered pricing. Lo conoscete benissimo. È il modello: “buono, migliore, ottimo”. L’idea è farti auto-selezionare. Studi su questi modelli evidenziano come, davanti a tre scelte, preferiamo (quasi uno su due) quella centrale. In più “l’effetto esca” insegna che inserendo una scelta “peggiore” — cioè che valutiamo immediatamente come non conveniente — ci orienta verso quella “target” e ce la fa percepire più facilmente come giusta e conveniente. In altre parole, tu sei indeciso tra A e B, questa indecisione rischia di farti pensare: “sono indeciso, ci rifletto e ci torno quando ho deciso” (che poi significa che io ti perdo come cliente), allora ti metto una bella offerta C, simile alla B, ma non conveniente e voilà ecco che l’opzione B diventa magicamente più conveniente e affidabile di prima, non ci pensi più e decidi subito.
Ma non finisce qui. Oggi il modello più diffuso o in via di diffusione è la two-part tariff. Il modello discoteca. Paghi l’ingresso, poi paghi i drink, magari i primi uno o due te li «offrono». Una quota fissa più un costo variabile su quello che consumi. In altre parole, paghi un canone e poi il consumo. Però, per rendere meno diretto il ragionamento sul costo, si parla di crediti. Tu converti un po’ dei tuoi soldi in crediti e spendi i crediti sulla base del consumo che fai all’interno della discoteca. Invece dei drink i tuoi crediti vengono usati per comprare “token”.
Velasco e colleghi, in un paper del 2025 dal titolo eloquente — “Is Your LLM Overcharging You?”, la tua AI ti sta fregando? — hanno messo il dito nella piaga. La tesi è semplice: il modello pay-per-token, quello con cui ti fanno pagare ogni pezzetto di parola che l’AI genera, crea un incentivo finanziario per il provider a contare più token di quelli reali. Gli autori non si limitano a ipotizzarlo: dimostrano che esiste una tecnica euristica che permette di sovraccaricare il cliente in modo non rilevabile. Tu chiedi, lui risponde, lui conta. E tu non hai modo di sapere se il conto è giusto.
Ma anche quando non paghi a consumo, i limiti restano opachi. “Circa 5 volte il piano gratuito.” “40-50 messaggi per 3 ore, soggetti a cambiamento.” Soggetti a cambiamento di chi? Loro, ovviamente. Tu non sai mai esattamente quanto puoi usare. Loro sì.
Se un modello così lo introducesse domani mattina una compagnia telefonica, avremmo le autostrade bloccate dalle proteste!
Non so se vi è mai capitato. A me capita, ad esempio, con Manus — che lavora con i crediti — o con SciSpace. Tu chiedi una cosa, lui la fa e ti presenta il conto. Possibilità di verificare o capire se il conto è giusto? Praticamente zero. Come andare al ristorante e ordinare con un menù senza prezzi (quello che un tempo, nei ristoranti eleganti, era riservato alle signore) e poi pagare il conto.
Ci sarebbe anche la soluzione: dei sistemi terzi che verificano (in modo sicuro e crittografato) che i conti siano giusti. Ma chissà perché questa cosa non decolla. Forse perché questo dovrebbe essere un compito per i “sistemi regolatori” che sull’AI, mi duole dirlo, si preoccupano solo e soltanto di privacy e poco e pochissimo di diritti degli utenti.
Il pay-per-token non è solo un modello di business. È un’asimmetria informativa monetizzata. Il provider sa quanti token genera. Tu no. E in assenza di verifica, la fiducia è l’unico argine. Come direbbe mia madre: “E tu ti fidi?” Figurati! Mia madre, vicino al telefono teneva un coso che contava gli scatti per essere sicura di quello che si spendeva!
Per completare il quadro, i big — Microsoft, Google, Amazon, Meta — giocano una partita diversa: ti vendono l’AI insieme a tutto il resto che già usi, cloud, posta, documenti. È il bundling: più cose compri da me, più ti costa andartene. “I piccoli” come OpenAI e Anthropic (che insieme oggi valgono più del “fatturato” mondiale del mercato della droga, grossomodo), puntano sulla qualità del modello e sul posizionamento.
Già, ma quanto ci costano? E quanto ci costeranno in futuro?
Così, mi sono messo a cercare se c’erano prove “empiriche” sulle dinamiche di acquisto e dei prezzi. Forte di 4 lauree e un dottorato (presi più per vedere se prima o poi quella promozione fuori da scuole e università la “beccavo” che per altro) ho analizzato l’andamento e le strategie di prezzo di vendita dell’AI Generativa.
La prima cosa che ho fatto è stata di mettermi a frugare nel “carrello della spesa” dell’ISTAT. Lo conoscete? È quello con il quale si stima l’inflazione in Italia. La tecnica è semplice, si fa un paniere e si vede per quel paniere come variano i prezzi. Sapete cosa ci trovate nel vostro carrello della spesa Istat?
Ci sono quasi 2000 prodotti. Pane, burro e zucchero ci sono dal 1928, poi negli anni qualcosa entra e qualcosa esce. Ad esempio, il mitico Compact Disk c’è rimasto dal 1991 al 2015. Nel 2025 escono i test per il Covid-19 ed entrano: topper per materasso (grazie allo sforzo di evangelizzazione svolto da Bruno barbieri), camera d’aria per la bicicletta, spazzole tergicristalli e — finalmente — il cono gelato insieme allo speck (non come una unica categoria, sarebbe disgustoso, ma come due categorie distinte).
L’AI? No. Vabbè, mica ci possiamo mettere tutto dentro. Già è tanto che ci sono streaming di contenuti musicali (Spotify) e abbonamenti pay tv e video.
E io come faccio a capire se il prezzo delle caramelle delle AI sta aumentando oppure no?
Ho messo insieme 13 servizi: da ChatGPT a Claude, da Midjourney a Copilot, da Grammarly a Perplexity. Li ho pesati per quanto contano davvero nel mercato — ChatGPT da solo vale più della metà del paniere, perché l’81% del traffico GenAI passa da lì. Ho raccolto i prezzi mese per mese, da gennaio 2022 a novembre 2025. Quarantotto mesi di dati, verificati e riverificati.
Il risultato? I prezzi sono scesi. Non di poco: -5.9% in totale da febbraio 2023 a novembre 2025. Tradotto in termini annui, fa -2.1% all’anno. Mentre l’inflazione americana viaggiava al +4% medio, le caramelle dell’AI costavano meno. E se aggiusti per la qualità — cioè se tieni conto che oggi con gli stessi 20 dollari hai GPT-5 invece di GPT-3.5, 80 messaggi invece di 25, immagini e voce invece del solo testo — la deflazione reale è del 25.9%. Paghi un po’ meno, ricevi tre volte tanto. La ricerca di Stanford AI Index ha quantificato la compressione: ottenere una performance equivalente a GPT-3.5 costava 20 dollari per milione di token nel novembre 2022. Nell’ottobre 2024? Solo 7 centesimi. Una riduzione di 280 volte in 18 mesi.
Nel marketing si chiama qualityflation: il contrario della shrinkflation (da “shrink”, restringere e inflation). È quando un pacco di biscotti pesa 350 grammi invece di 400, ma costa uguale. Le bottiglie di acqua e bibite che diventano sempre più piccole. Il prezzo non sale, la quantità scende. L’inflazione nascosta. Dovreste vedere mia madre quanto si incazza quando lo scopre!
In realtà, un po’ di shrinkflation l’AI la fa — o l’ha fatta. Quando il fedele compagno Claude ti dice: “hai finito i crediti per oggi”. E tu ti ricordi che nella foga di provarlo hai accettato un contratto che prevede che possono unilateralmente fare come vogliono. E lo fanno. Cursor, un popolare editor di codice basato su Claude, ha dovuto cambiare modello nel 2025: da un’offerta quasi illimitata a 20 dollari al mese a pacchetti molto più limitati — o un tier a 200 dollari. Perché? Gli utenti intensivi consumavano troppi token. Il modello non reggeva. E non è solo questione di crediti. Gli utenti più attenti hanno notato che le risposte di ChatGPT sono diventate più brevi, meno dettagliate. Le citazioni web si sono ridotte. Nessun annuncio, nessuna comunicazione. Semplicemente, un giorno le risposte erano più magre. Ogni parola generata costa potenza di calcolo. Meno parole, meno costi. La shrinkflation digitale, silenziosa come quella del pacco di biscotti.
Ma ecco il colpo di scena. A dicembre 2024, OpenAI lancia ChatGPT Pro a 200 dollari al mese. Dieci volte il prezzo del Plus. E l’indice schizza: +7.3% di inflazione nel 2025. Tutto quel +7.3% viene da lì, da quel singolo prodotto. Se togli ChatGPT Pro dal paniere, la deflazione continua indisturbata.
È la biforcazione. Il mercato si è spaccato in due. Da una parte, il tier commodity: servizi a 10-20 dollari al mese, dove sta il 98% degli utenti. Prezzi stabili, quasi congelati. Dall’altra, il tier luxury: 200 dollari e oltre, per il 2% che non riesce più a smettere. In mezzo? Niente. Il famoso missing middle tra 35 e 150 dollari. Nessuno ci si è ancora infilato.
C’è però chi ha iniziato a esplorare un’altra direzione: non verso l’alto, ma verso il basso. OpenAI ha lanciato ChatGPT Go in India a 399 rupie al mese — circa 4 euro e 60. Meno di un quarto del Plus. Perplexity offre un piano Education a 4,99 dollari per studenti e insegnanti. La logica è semplice: se 20 dollari sono troppi per un miliardo di indiani e per milioni di studenti, abbassa il prezzo e crea dipendenza prima. Domani, quando avranno potere d’acquisto, saranno già tuoi.
E qui arriva la parte interessante. I 20 dollari non sono un caso. ChatGPT Plus costa 20 dollari. Claude Pro costa 20 dollari. Gemini Advanced costa 19.99 dollari. Perplexity Pro costa 20 dollari. Microsoft Copilot Pro costa 20 dollari. È quello che gli economisti chiamano “focal point”: un prezzo su cui tutti convergono senza bisogno di mettersi d’accordo (dicono gli economisti, altrimenti sarebbe un cartello). L’indice di concentrazione del mercato (l’HHI, per i tecnici) è a 6.656 — altamente concentrato, dicono quelli che misurano queste cose. I primi tre player controllano il 77% del mercato. È un oligopolio e l’oligopolio si coordina naturalmente.
La strategia della caramella gratis, insomma, funziona così: ti danno il free tier per farti entrare. Poi ti offrono il Plus a 20 dollari — un prezzo che sembra ragionevole, che tutti praticano, che non fa così male. Ti abitui. Integri l’AI nel lavoro, ottimizzi i prompt, fai fine-tuning. E quando sei dentro fino al collo, arriva il Pro a 200 dollari. Per chi “va a rota” davvero, per chi non può più farne a meno.
I dati dicono che il tasso di conversione dal free al paid è del 4.4% in media. ChatGPT converte solo l’1.25% — ma su 800 milioni di utenti settimanali, fa 10 milioni di abbonati paganti. Claude converte il 14.7%. GitHub Copilot il 12%. Numeri che confermano: la strategia funziona. Pochi pagano, ma quei pochi pagano bene.
E per il futuro? I modelli previsionali dicono +2.3% nel 2026. Stabilizzazione. Lo shock del Pro è stato assorbito. I prezzi del tier commodity resteranno fermi. 20 dollari è il pavimento, nessuno vuole una guerra dei prezzi, hanno imparato la lezione da quello che, nel mondo, è successo nelle Telco (dove a furia di farsi la guerra sui prezzi più bassi, oggi il mercato è diventato insostenibile). Ma attenzione: OpenAI sta già considerando aumenti. ChatGPT Plus dovrebbe/potrebbe passare da 20 a 22 dollari e secondo alcune proiezioni potrebbe arrivare a 44 dollari al mese entro il 2029. Il land-grab prima o poi finisce. E quando finisce, i prezzi salgono.
La partita dei prossimi mesi e anni si giocherà sulla qualità, sulle feature, sulla capacità di farti sentire che senza quel servizio non puoi più vivere. In una parola: sulla dipendenza!
C’è un ultimo problema, però. Si chiama subscription fatigue — la stanchezza da abbonamenti. Nel 2024 il consumatore medio gestiva 12 abbonamenti attivi. Il 42% sente di averne troppi. Uno su tre ha cancellato almeno un servizio nell’ultimo anno. L’AI non è sola nel chiedere i tuoi soldi: c’è Netflix, Spotify, il giornale, la palestra, il cloud, il backup, l’antivirus. E quando si razionalizza, l’abbonamento meno indispensabile salta. Per ora, l’AI sembra reggere. Ma per quanto?
Perché la verità è questa: per i consumatori, il momento attuale offre un valore straordinario. Con 20 dollari al mese — o anche zero — hai accesso a capacità che solo cinque anni fa sarebbero costate centinaia di migliaia di dollari in infrastruttura. Ma questo è probabilmente un golden age temporaneo, sovvenzionato da capitale di venture e guerre competitive tra giganti che bruciano miliardi pur di conquistare quote di mercato. Nei prossimi due-tre anni, aspettatevi una normalizzazione dei prezzi verso livelli sostenibili. Tradotto: aumenti graduali del 10-20% all’anno per i tier standard, mentre i tier gratuiti potrebbero diventare più limitati — o sostenuti dalla pubblicità.
Mia madre direbbe: “Visto? Te l’avevo detto.” E io, per una volta, non avrei niente da ribattere. La prossima volta, invece di chiedere a ChatGPT: me lo ricorderò: lo chiederò direttamente a mia madre.
















