Dalle collaborazioni accademiche ai nodi del complesso militare-industriale di Pechino. Il caso britannico mostra come l’apertura scientifica, se priva di adeguate cautele e prevenzione strategica, rischi di tradursi in una vulnerabilità sistemica per la sicurezza nazionale
La questione non riguarda il singolo paper né il singolo professore. Riguarda invece la struttura del sistema, la sua esposizione strategica e la capacità, o incapacità, dello Stato di governare il rapporto tra ricerca aperta e competizione geopolitica.
In questo quadro si inserisce l’inchiesta del Times sulle collaborazioni tra università britanniche e istituti cinesi legati all’Esercito popolare di liberazione (Pla), così come il rapporto di Strider Technologies che ne costituisce il fondamento analitico, ricostruendo come, dal 2020, oltre 8.000 pubblicazioni scientifiche hanno coinvolto più di 5.000 ricercatori affiliati a enti britannici in partnership con strutture cinesi riconducibili direttamente o indirettamente al Pla.
Qui, osservando la natura degli istituti coinvolti e i domini tecnologici sistematicamente privilegiati (intelligenza artificiale, quantum computing, aerospazio, comunicazioni resilienti, ipersonica, tecnologie laser) risulta evidente come la cooperazione accademica internazionale possa essere utilizzata dagli istituti cinesi come strumenti per la costruzione di un vantaggio strategico qualitativo, quantitativo e informativo.
Cooperazione o infiltrazione?
Si tratta infatti di settori che costituiscono l’ossatura delle capacità militari avanzate dei nostri giorni, soprattutto in settori nei quali la Cina applica sistematicamente il principio della civil-military fusion, dottrina che dissolve ogni distinzione tra uso civile e impiego militare della ricerca tecnologica.
In questo schema, la cooperazione accademica diviene strumento di spionaggio scientifico, accademico, nonché vero e proprio moltiplicatore di potenza.
Il punto critico, secondo il report Strider, è rappresentato dalle istituzioni partner. Tra queste figurano le cosiddette “Seven Sons of National Defence”, università cinesi dotate di credenziali di sicurezza classificate e strettamente integrate nella filiera della difesa, nonché la National University of Defense Technology di Changsha, sanzionata dagli Stati Uniti per il suo ruolo nello sviluppo di supercalcolo e simulazione militare.
Continuare a trattare questi attori come normali controparti accademiche significa ignorare deliberatamente il contesto politico‐strategico in cui operano.
Nonostante negli ultimi anni Londra abbia rafforzato gli strumenti di tutela della ricerca, introducendo il National Security Act, ampliando i poteri di screening sugli investimenti e istituendo meccanismi di advisory per le collaborazioni internazionali, nessuna di queste contromisure ha comportato divieti espliciti di cooperazione con enti affiliati al Pla, affidando la gestione del rischio alla valutazione autonoma delle singole università.
Il confronto tra Sistemi
In uno scacchiere caratterizzato da competizione sistemica, delegare la valutazione del rischio strategico a soggetti che operano in condizioni di stress finanziario e di concorrenza globale per fondi e talento comporta l’accettazione implicita di un elevato grado di esposizione all’ingerenza scientifica.
L’inchiesta del Sunday Times ricostruisce come università di primissimo piano, da Warwick a Manchester, fino a Cranfield, abbiano firmato lavori congiunti con ricercatori affiliati a istituzioni militari cinesi, spesso in settori a chiara rilevanza difensiva.
In questo contesto, la co-autorialità scientifica, oltre che prassi accademica, è anche mezzo di costruzione e legittimazione relazionale, canale per il consolidamento di reti professionali, flussi informali informativi e, in alcuni casi, percorsi di reclutamento selettivo.
Secondo Strider, proprio questa dimensione relazionale rappresenta uno dei principali vettori di rischio, poiché consente al sistema cinese di assorbire competenze critiche senza ricorrere a pratiche apertamente illecite.
Nessuno di questi casi rappresenta infatti una violazione diretta della legge, ma ognuno di questi solleva interrogativi riguardo il perimetro della sicurezza nazionale e l’integrità del suo apparato scientifico, accademico, istituzionale.
Il caso britannico riguarda, in realtà, molte democrazie europee. Da un lato, la necessità di non compromettere l’apertura della ricerca scientifica.
Dall’altro, la crescente consapevolezza che la neutralità tecnologica, nelle dinamiche di un confronto tra sistemi strutturati con regole profondamente diverse, rappresenti una vulnerabilità. Ancora una volta, pratiche asimmetriche per sistemi autoritari, meccanismi simmetrici per democrazie occidentali.







