Il divieto non è un caso isolato ma parte di una corsa globale al controllo delle comunicazioni cifrate. Dal Regno Unito all’India, dall’Ue alla Cina: Stati sempre più determinati a piegare la crittografia per uso civile alle ragioni della sicurezza nazionale. Il commento di Andrea Monti, docente di identità digitale, privacy e cybersecurity nell’università di Roma-Sapienza
Il blocco di FaceTime: cosa ha deciso la Russia
Un lancio di Reuters diffonde la notizia secondo la quale il Roskomnadzor l’ente regolatorio russo del settore telco ha deciso di bloccare l’utilizzo di FaceTime —l’app di messaggistica audiovideo di Apple— nell’ambito di una strategia più ampia di contrasto all’utilizzo di tecnologie straniere impiegate per la commissione di attività illecite.
Nonostante la decisione sia stata criticata evidenziandone la natura censoria e repressiva della libertà di espressione oltre che della privacy, in realtà la scelta del regolatore russo ha una matrice molto diversa, comune anche alla Ue e ad altri Paesi dell’area indo-pacifica, destinata a sconvolgere il settore della cybersecurity sia in ambito civile, sia in ambito militare.
India, Regno Unito, Cina, Francia, Ue: la mappa delle nuove restrizioni
Dopo il Roskomnadzor, è stata la volta dell’India di chiedere ai produttori di smartphone di installare un’applicazione non rimovibile per il tracciamento del terminale. Poco dopo Nuova Delhi ha fatto marcia indietro, rilanciando tuttavia con la richiesta di lasciare sempre attiva la memorizzazione delle coordinate Gps.
Sempre nel 2025 il governo inglese aveva chiesto ad Apple, che si è rifiutata, di consentire l’accesso ai dati cifrati contenuti negli iPhone nel 2024 già la Cina aveva disposto il bando di Whatsapp, Telegram e Signal dall’app store di Apple, e la Francia aveva ottenuto un accesso privilegiato ai canali Telegram a seguito dell’arresto del fondatore dell’azienda, Pavel Durov. Dal canto suo, la UE non si rassegna a rinunciare al chat control —cioè all’obbligo di installare un sistema di “perquisizione informatica” dei dispositivi connessi che ne controlla i contenuti prima che siano cifrati e scambiati – questione analizzata fin dal 2020 su queste pagine.
La contraddizione della crittografia: dai criptotelefoni a Apple contro l’Fbi
Ancora prima di questi eventi che hanno riguardato aziende multinazionali o, in ogni caso, non coinvolte direttamente in attività illecite, fra il 2018 e il 2021, due operazioni di polizia franco-olandesi smantellarono Encrochat e Sky Ecc, due infrastrutture di criptotelefoni prevalentemente utilizzate dalla criminalità anche organizzata grazie all’elevato livello di resistenza alle intercettazioni da parte delle autorità.
Uno dei temi che caratterizzò quelle indagini fu considerare i gestori dell’infrastruttura come responsabili, quantomeno sotto il profilo del concorso nella commissione dei reati da parte dei loro utenti, per il modo in cui era stata progettata l’infrastruttura stessa.
A prescindere dalle questioni giuridiche e della sostenibilità di una tesi del genere, già all’epoca fu evidente la contraddizione del non estendere lo stesso criterio anche ai produttori di smartphone e applicazioni che, sostanzialmente, promettevano lo stesso risultato.
Paradigmatica, in questo senso, la controversia del 2016 fra Apple e il Fbi sul rifiuto della prima di “forzare” la sicurezza del sistema operativo del proprio prodotto di punta. Il rifiuto, infatti, fu motivato sul presupposto che, in nome della tutela dei diritti degli utenti, il sistema era stato progettato per non essere violabile nemmeno da Apple stessa.
Benché il Fbi trovò autonomamente il modo di ottenere le informazioni necessarie, la vicenda pose chiaramente il tema dell’esistenza o meno di un limite alla libera disponibilità di strumenti di comunicazione che uno Stato non può controllare, a prescindere dalla finalità del controllo.
Quando sicurezza, polizia e difesa si sovrappongono
È abbastanza evidente, tornando alla cronaca, che la decisione dell’autorità regolatoria russa si inserisce in una tendenza rilevata ad ogni latitudine di usare la prevenzione criminale come base giuridica per sostenere, in realtà, le strategie di sicurezza nazionale e difesa che richiedono la disponibilità di un controllo globale e diffuso.
Sulla carta, esiste formalmente (quasi) dappertutto un confine molto preciso fra i differenti ambiti che afferiscono a prevenzione, repressione, difesa e sicurezza.
Questo confine può essere più facilmente assottigliato —o addirittura eliminato— in giurisdizioni basate sul rule by law, e dunque sull’uso politico delle norme, ma fare lo stesso in ordinamenti basati sul primato della legge è certamente meno agevole, specie considerando che ad oggi non sussistono le condizioni per adottare leggi speciali o sospendere le garanzie costituzionali. Da qui, la necessità di ricorrere a una narrativa che ponga il contrasto alla criminalità come giustificazione per scelte dalle conseguenze molto più estese.
Il rischio geoeconomico: cosa può cambiare per Big Tech e Cina
Un effetto collaterale, ma non meno importante, della decisione russa, della posizione politica assunta dall’India e di quella UE è la potenziale chiusura di quei mercati alle Big Tech statunitensi.
Se, dunque, il contrasto con Big Tech dovesse scalare verso livelli più elevati e arrivare a un blocco anche parziale delle tecnologie Usa, non è improbabile che da questo possa avvantaggiarsi l’industria cinese e l’influenza di Pechino. La prima, si troverebbe di fronte a una riduzione della concorrenza occidentale, mentre la seconda godrebbe di un’estensione della propria influenza, di certo non nella Ue, ma con maggiore probabilità nell’area indopacifica.
La contesa è sul recupero della sovranità tecnologica
Il blocco di FaceTime conferma ancora una volta la tesi secondo la quale la partita strategica sulla sicurezza delle comunicazioni si gioca sul terreno del controllo delle proprie superfici di vulnerabilità.
Mosca ha scelto una via più diretta, altri Paesi hanno scelto (o sono costretti) a percorsi più complessi, ma l’obiettivo rimane lo stesso: ridurre l’autonomia tecnologica delle piattaforme e riportare nella sfera pubblica ciò che per anni è stato lasciato alla governance privata delle Big Tech.
















