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Quando l’informazione diventa solidarietà. Perché ricordare il modello Misna

Di Gianni Todini e Francesco Nicotri

Misna ha raccontato per 18 anni le periferie del mondo, offrendo notizie indipendenti e plurilingue su conflitti e realtà dimenticate. Un esempio di giornalismo come servizio, capace di connettere centro e margini e contrastare la disinformazione

Il 2 dicembre 1997 fu pubblicato il primo lancio di Missionary International Service News Agency (comunemente, nota come Misna), l’agenzia di informazione fondata (e diretta per sette anni) da padre Giulio Albanese e cresciuta nell’ambito del mondo missionario. Mentre, il 31 dicembre 2015 si spegneva questa “voce” che ha raccontato quanto accadeva nelle periferie del villaggio globale, sempre più (fatto) a pezzi.

È interessante ripercorrere l’avventura di Misna tramite le parole del suo fondatore, attualmente direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali e dell’Ufficio per la cooperazione missionaria tra le Chiese della Diocesi di Roma. In proposito, si suggerisce la lettura di “Il mondo capovolto. I missionari e l’altra informazione” (Einaudi, 2003), in cui è approfondita (in prima persona) la nascita dell’agenzia.

Padre Giulio Albanese, missionario comboniano e giornalista, ha raccontato che l’idea risale al suo soggiorno ad Atlanta, dove svolgeva uno stage professionale presso la Cnn. Un’intuizione che ha preso corpo facendo leva sulla “nuova tecnologia offerta da internet”, soprattutto su una “efficace rete di inviati speciali” – non giornalisti professionisti ma missionari e operatori di organizzazioni non governative istruiti all’uopo.

Non è questa la sede per dar conto delle difficoltà (innanzitutto, economiche e gestionali) che ne hanno determinato la chiusura. Semmai, per rendere omaggio a questi uomini e donne che hanno vissuto “dal di dentro il come e il perché dei fatti” (Albanese) del Sud del mondo, dei Paesi in via di sviluppo, realizzando in alcuni casi veri e propri scoop. Nei suoi 18 anni di attività, Misna ha messo a disposizione una fonte complementare, integrativa e talora correttiva, per di più plurilingue (compreso l’arabo, oltre l’italiano, l’inglese, il francese e lo spagnolo), rispetto al flusso di notizie assicurato dalle agenzie di stampa globali, dai media internazionali e nazionali. Come si può leggere ancora oggi nella presentazione presente su LinkedIn, “gruppi umani, conflitti, territori e fatti dimenticati e marginalizzati” hanno costituito “al tempo stesso la fonte e l’oggetto privilegiato per un lavoro redazionale” che, grazie alla sua indipendenza e autonomia, ha contribuito a costruire ponti “senza cedere mai alla tentazione di sensazionalismi facili e dannosi”.

Tale coraggiosa esperienza di buon giornalismo, divenuta punto di riferimento (“paradigma di comunicazione sociale”) non soltanto nel nostro Paese, che si è aggiudicata tra gli altri il riconoscimento come miglior portale del 2002 nella sezione del premio giornalistico “Saint-Vincent” dedicata a internet, ha confermato come l’informazione sia “la prima forma di solidarietà” (Albanese), ad esempio con riguardo alle “Afriche” che sono al centro dell’ultimo libro di padre Albanese (“Afriche, inferno e paradiso. Viaggio in un continente dai mille contrasti” – Libreria Editrice Vaticana, 2025). Senza trascurare che ha avuto il merito di mettere in luce il ruolo dei missionari che – come sottolineato in più occasioni dal Ministro Antonio Tajani, che ha dedicato loro una sessione apposita del G7 di Pescara – “parte della politica estera del nostro Paese, se intendiamo la politica come servizio”, sono “artefici di una diplomazia della solidarietà di cui c’è un disperato bisogno”.

Da estimatori, nonché utilizzatori, di questo strumento di conoscenza e di lavoro, auspichiamo nuove iniziative (e alleanze) editoriali che, anche nello scenario del Piano Mattei per l’Africa e della strategia europea del Global Gateway, continuino a “dare voce a chi non ha voce”, così come a dare spazio a progettualità e attività in grado di connettere centro-periferia e Nord-Sud del mondo (non soltanto geografici), garantendo una “mediazione di qualità” (Sergio Lepri), pure per contrastare e reagire in modo efficace alla grave minaccia rappresentata dalla disinformazione, dalla manipolazione delle informazioni e dalle ingerenze da parte di attori stranieri.


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