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Perché l’intelligence è la forma più raffinata di intelligenza umana. Scrive Caligiuri

L’Intelligence serve per individuare le informazioni rilevanti, contestualizzarle, unire punti che sembrano dispersi, cogliere i segnali deboli, esercitare il pensiero contrario e laterale, identificare e tenere a bada gli inevitabili bias cognitivi e, volendo allargare l’orizzonte, per difendere la democrazia da se stessa, dalle sue inevitabili degenerazioni. L’analisi di Mario Caligiuri, presidente della Società italiana di intelligence e direttore del master in Intelligence (Università della Calabria)

Oggi l’Intelligence può fornire una chiave indispensabile per capire la metamorfosi del mondo, poiché rappresenta la forma di intelligenza umana più raffinata che consente di andare al di là delle apparenze e della disinformazione.

Partendo dal significato della parola “Intelligence”, si delinea un percorso culturale, che fa emergere la sua necessità sociale che nasce con l’uomo delle caverne e delle palafitte dove saper interpretare un’informazione faceva la differenza tra la vita e la morte.

L’etimologia della parola Intelligence è avvincente, poiché deriva da intelligenza, che richiama le forme umane per eccellenza della logica, della razionalità, del pensiero.

Quindi, il termine si rifà al latino “intelligere”, cioè “capire”, “comprendere” che a sua volta richiama “Inter-legere”: interpretare, collegare, vedere in profondità.

Tra i primi esempi noti nella storia, c’è la “Bibbia”, il libro dei libri, quando Mosè manda i messaggeri nella Terra di Canaan, e c’è “L’arte della guerra” di Sun Tzu, il quale sostiene che il massimo successo per un condottiero è vincere senza combattere. E questo è possibile solo con l’uso sapiente delle informazioni, che il sovrano deve avere l’abilità di raccogliere e interpretare perché il suo più grande potere è “la divina manipolazione delle trame”.

Infatti, l’autentica natura dell’Intelligence è, come ogni altro fenomeno, culturale. E la cultura è una visione del mondo.

Appunto per questo, è fondamentale avere consapevolezza delle trasformazioni sempre più rapide del nostro tempo, dove, come sostiene Günther Anders, l’uomo non è consapevole delle conseguenze delle sue azioni, poiché è “antiquato” rispetto alle tecnologie.

Pertanto, l’Intelligence deve contribuire ad accrescere la responsabilità dei comportamenti umani, essendo alla base delle decisioni che vanno assunte pensando al futuro, perché oggi è più importante che mai interpretare per anticipare.

L’Intelligence ha un significato profondamente umano, che ha scandito la storia del mondo. Gli esempi sono costanti. Provo a citarne alcuni, solo a titolo indicativo.

I Romani nella colonna traiana hanno rappresentato addirittura il corpo scelto dei “frumentarii”, che anticipavano le legioni per procurare le vettovaglie e così facendo raccoglievano anche  informazioni preziose.

Così come va ricordato che i moderni Servizi nascono nell’Inghilterra di Elisabetta I, dove Sir Francis Walsingham organizzò una rete capillare con spie sia in patria sia nelle corti europee, formate con apposite tecniche e reclutate prevalentemente nelle università e tra gli intellettuali.

Per ritornare al nostro tempo, dal secondo dopoguerra ad oggi potremmo individuare quattro fasi nell’utilizzo dell’Intelligence a livello statale. La prima fase corrisponde al periodo della Guerra Fredda, combattuta attraverso le spie e l’influenza culturale (1945-1989). Con la fine delle ideologie, si apre la seconda fase, distinta dal sistema di intercettazioni “Echelon”, curvato su esigenze economiche e commerciali (1989-2001). La terza fase prende forma dopo l’attentato alle Torri Gemelle con l’Intelligence intesa quale scudo per giustificare le scelte politiche, come l’invasione dell’Iraq, compiuta sulla base di false prove di Intelligence (2001-2015). L’ultima fase è quella che si potrebbe considerare iniziata il 7 gennaio 2015, giorno dell’attentato dei fondamentalisti islamici alla sede del giornale satirico parigino Charlie Hebdo.

Da quel giorno sia le tv sia i quotidiani riportano costantemente la parola “Intelligence”, considerata come un’arma segreta delle democrazie per contrastare i propri nemici. Da allora, mi è sembrato di cogliere una profonda trasformazione culturale dell’intelligence: da luogo oscuro dello Stato a strumento di difesa dei cittadini, da metodo per prevedere il futuro ad ambito per interpretare il presente, da contesto esoterico per forze di polizia e operatori dei Servizi a pratica necessaria per tutti i cittadini.

Nell’attuale contesto, caratterizzato dalla disinformazione, appare evidente la necessità di andare oltre il visibile, poiché siamo “come i pesci nell’acqua”. Nel senso che, come i pesci, non hanno consapevolezza dell’acqua in cui nuotano, non abbiamo alcuna percezione della disinformazione in cui siamo immersi. Dunque, ragionare e riflettere in chiave di Intelligence, andare oltre le apparenze, avere una mente ospitale esercitando un pensiero critico, può rappresentare la principale forma di difesa dalla disinformazione.

La disinformazione, infatti, non si manifesta solo attraverso le fake news – che rappresentano gli aspetti più visibili ma meno dannosi – ma è strutturalmente alimentata da Stati e multinazionali. Siamo in presenza di una vera e propria società della disinformazione, che si manifesta in modo molto preciso: con la dismisura dell’informazione da un lato e il basso livello di istruzione sostanziale dall’altro. Questa combinazione crea un cortocircuito cognitivo che allontana le persone dalla sempre difficile comprensione della realtà.

Di conseguenza, l’Intelligence serve per individuare le informazioni rilevanti, contestualizzarle, unire punti che sembrano dispersi, cogliere i segnali deboli, esercitare il pensiero contrario e laterale, identificare e tenere a bada gli inevitabili bias cognitivi e, volendo allargare l’orizzonte, per difendere la democrazia da se stessa, dalle sue inevitabili degenerazioni.

Spiegava Aristotele, nel IV secolo a.C., che ogni sistema politico inevitabilmente degenera e la democrazia si trasforma in demagogia, che è quello che oggi chiamiamo populismo. In definitiva l’Intelligence può rappresentare la conoscenza fondamentale per quelle “minoranze creative” che consentono il passaggio da un’epoca a un’altra. In tal senso, siamo di fronte alla trasformazione più radicale che si sia mai verificata nella storia: stiamo passando dalla civiltà dell’intelligenza umana a quella dell’intelligenza artificiale.

Oggi è di estrema attualità la guerra cognitiva che più che di ulteriori sviluppi dell’intelligenza artificiale ha bisogno di potenziare le risorse sopite e nascoste della mente. Solo in questo modo possiamo affrontare “la buona battaglia” con l’intelligenza artificiale per utilizzarla a vantaggio dell’umanità.


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