Il nuovo rapporto del Centro europeo per il contrasto alle minacce ibride ricostruisce le modalità con le quali la Russia sta utilizzando l’arcipelago norvegese delle Svalbard come piattaforma avanzata per testare e perfezionare il proprio arsenale ibrido
Nelle isole Svalbard, la Russia, da anni, anticipa e testa azioni asimmetriche, poi esercitate all’interno dei confini europei, utilizzando l’arcipelago norvegese in un laboratorio geopolitico dove testare le forme di pressione ibrida. Qui, Mosca ha trovato un ambiente ideale per testare i limiti del diritto internazionale, misurare la reattività norvegese e sondare le frizioni interne all’Occidente. Analizzare le evoluzioni operative russe nelle Svalbard risulta dunque utile per comprendere come il Cremlino cerchi oggi di modellare lo spazio grigio tra pace e conflitto.
Nel grande Nord
Il rapporto Hybrid CoE mostra come Svalbard smetta di funzionare da semplice luogo geografico e diventi metodo operativo, un dispositivo che consente al Cremlino di ridurre l’autonomia decisionale dell’avversario senza uscire dalla penombra della competizione sottosoglia. La Russia usa un territorio remoto per mettere alla prova le tecniche che le permettono di spostare l’iniziativa, condizionare le scelte di Oslo e insinuare dubbi sulla gestione dell’arcipelago.
Una tradizione operativa
L’analisi ricostruisce la genealogia di questa postura. Prima dell’attuale fase di tensione, l’Unione Sovietica tentò già negli anni Quaranta di ridisegnare la sovranità norvegese su Svalbard, proponendo un regime di co-amministrazione e rivendicando un ruolo privilegiato fondato su diritti storici selettivi. Iniziativa che non entrò mai nella pratica, ma lasciò comunque un’impronta duratura, che ancora oggi mostra come Mosca continui a considerare le Svalbard come un territorio diverso dal resto della Norvegia, uno spazio dove avanzare pretese particolari intrecciando diritto internazionale, memoria nazionale e considerazioni strategiche legate alla Northern Fleet e al controllo delle rotte artiche.
Durante la Guerra Fredda questa impostazione produsse una serie costante di azioni mirate a indebolire l’autorità norvegese, ricostruite dal report. Le comunità minerarie sovietiche ignoravano norme locali, i voli e le attività logistiche arrivavano spesso senza preavviso, mentre le dispute nella zona di protezione della pesca alimentavano un contenzioso strutturale. Mosca spingeva sistematicamente la Norvegia verso una gestione bilaterale delle crisi, sottraendo gradualmente la questione Svalbard alla cornice internazionale prevista dal Trattato del 1920.
Le evoluzioni contemporanee
Il rapporto individua nel 2014 la svolta contemporanea. L’annessione della Crimea e la rottura con l’Occidente accelerano l’uso russo della pressione ibrida, l’Artico entra nella nuova competizione strategica, e Svalbard offre a Mosca un terreno ideale. Un accesso ampio ma difficile da controllare, una presenza russa radicata grazie alla compagnia Arktikugol, margini interpretativi nelle norme marittime e una vicinanza diretta al sistema militare settentrionale russo.
Nel 2015, con l’arrivo del vicepremier Dmitry Rogozin, sotto sanzioni europee, il Cremlino testa la tenuta del regime sanzionatorio. La visita non infrange il Trattato, ma intacca la coerenza delle misure occidentali. Oslo protesta, e Mosca rovescia immediatamente la narrazione accusando la Norvegia di violare l’accesso non discriminatorio dell’arcipelago. L’episodio entra subito nell’arsenale politico del Cremlino e diventa un precedente che la diplomazia russa richiamerà più volte. Da qui, nel 2016, la Russia alza ulteriormente l’ambiguità. Un aereo diretto verso un campo artico fa scalo a Longyearbyen con personale paramilitare ceceno e agenti dell’Fsb. E Mosca dimostra di poter far comparire sull’arcipelago attori sensibili senza violare alcuna norma in modo esplicito, delegittimando la capacità di risposta occidentale.
Confondere le acque. La dimensione marittima
La pressione diventa ancora più chiara sul fronte marittimo. Mosca alterna interpretazioni che si contraddicono a vicenda. Prima definisce le acque di Svalbard internazionali, poi propone una co-gestione con Oslo, poi estende in modo arbitrario il raggio d’azione del Trattato alla piattaforma continentale.
Non mira a stabilire una posizione giuridica; punta a confondere le acque. Più il quadro normativo diventa opaco, più la Norvegia perde margine d’azione e affronta ogni episodio come una disputa bilaterale e non come una violazione chiara di norme consolidate. È un processo che mira alla normalizzazione dell’anomalia. Mosca sfrutta il fermo del peschereccio Borei nel 2020 per colpire Oslo sul piano politico. La Guardia Costiera norvegese contesta la pesca illegale, e il Cremlino reagisce subito: il ministero degli Esteri minaccia “misure nazionali” per proteggere le proprie navi e accusa la Norvegia di forzare il diritto marittimo attorno a Svalbard. L’anno dopo, la Northern Fleet porta la pressione su un altro livello. Un gruppo di navi militari devia la rotta, si avvicina alle coste dell’arcipelago e se ne va senza spiegare nulla. Così, la Russia può contestare Oslo sul piano giuridico e, allo stesso tempo, affacciarsi sulle Svalbard con assetti navali senza dichiarare le proprie intenzioni. I due episodi, letti insieme, mostrano una strategia coerente. Ancora una volta, Mosca crea incertezza, riduce i margini di manovra norvegesi e ribadisce che considera l’arcipelago un terreno aperto alla competizione.
Lo stesso schema emerge nell’incidente del cavo sottomarino, che collega Svalbard alla Norvegia, interrotto nel 2022. Le indagini non individuano prove definitive, ma la presenza di pescherecci russi nella zona introduce un elemento tanto di sospetto quanto di plausible deniability, sfruttando l’opacità come vantaggio strategico.
Dal 2022 la pressione assume anche un contenuto simbolico. Il nuovo console russo e la nuova direzione di Arktikugol trasformano Barentsburg e Pyramiden in piattaforme di proiezione identitaria. Sfilate del Giorno della Vittoria, marce dell’Immortal Regiment, cerimonie che richiamano la tradizione militare russa e, a fianco, la narrativa russa sulla guerra in Ucraina. Mosca riafferma la propria presenza, evoca una legittimità storica e crea le precondizioni per un ecosistema informativo, percettivo e psicologico che mette sotto tensione le istituzioni norvegesi. Qualunque reazione restrittiva offre al Cremlino l’occasione per accusare Oslo di censura o discriminazione.
Un duplice risultato
Il rapporto mostra con chiarezza come questa strategia produca un duplice risultato. Da un lato Mosca costruisce un ecosistema di incertezza per la Norvegia e l’Occidente, dall’altro rafforza nell’opinione pubblica russa e in parte della platea internazionale l’idea che Svalbard rappresenti una zona contesa, dove la Russia possiede diritti che Oslo non riconosce pienamente.
Svalbard, dunque, diventa un indicatore anticipato. Ogni dettaglio conta e tutto entra nella logica della pressione sottosoglia che definisce la fase attuale della competizione russo-occidentale nel Nord, in Europa e in Occidente.
















