Il problema fondamentale di una svolta energetica sono i colli di bottiglia della burocrazia e della politica in un settore tutt’altro che libero e fortemente regolamentato. Dove è essenziale trovare una quadra che tenga assieme le esigenze dello Stato, dei cittadini e delle imprese. L’analisi di Leonardo Becchetti
Il settore dell’energia è oggi uno specchio fedele dei pregi e dei limiti del sistema Paese. L’Italia ha il motore di una Ferrari ma spesso è guidata a 60km all’ora. Il fattore positivo è quello dell’abbondanza di iniziativa e di progetti da parte di cittadini e imprese (lo spirito imprenditoriale e d’intrapresa è vivo e vegeto). Il problema fondamentale sono i colli di bottiglia della burocrazia e della politica in un settore tutt’altro che libero e fortemente regolamentato. Dove è essenziale trovare una quadra che tenga assieme le esigenze dello Stato (e i suoi vincoli di spesa), quelle di cittadini e imprese (avere energia a basso costo e pagare bollette meno salate) e quelle delle imprese del settore (che devono vedere remunerati i loro investimenti.
Uno dei pilastri della strategia climatica è la crescita delle rinnovabili. Per centrare gli obiettivi al 2030, l’Italia dovrebbe installare circa 10 GW di nuova capacità rinnovabile ogni anno. Nonostante la disponibilità di oltre 340 GW di progetti presentati a Terna, il ritmo effettivo di realizzazione è ancora insufficiente. La barriera principale non è la mancanza di proposte, ma i colli di bottiglia autorizzativi, legati alla definizione delle aree idonee e al difficile bilanciamento tra esigenze ambientali, paesaggistiche e sviluppo energetico. Sono fondamentali misure che incentivino la generazione distribuita e l’autoconsumo, come lo sconto in bolletta (net metering) e l’estensione del meccanismo “Energy Release” per ridurre i costi energetici. Le aste con contratti per differenza per grandi impianti e sistemi di accumulo rappresentano uno strumento chiave per la transizione: favoriscono la concorrenza, garantiscono rendimenti adeguati agli investitori e riducono l’impatto sulle bollette grazie al ruolo dello Stato come stabilizzatore contro le fluttuazioni dei prezzi spot.
L’efficientamento del patrimonio edilizio rimane un asse strategico, ma l’esperienza del Superbonus 110% ha evidenziato limiti rilevanti. In assenza di un tetto di spesa, con crediti di imposta liberamente cedibili e un incentivo molto elevato, si è generata una dinamica insostenibile sul piano economico e fiscale. Il futuro dell’ecobonus dovrà fondarsi su meccanismi di project financing che garantiscano sostenibilità di lungo periodo e un più razionale utilizzo delle risorse pubbliche.
L’Italia è particolarmente esposta agli effetti della crisi climatica. L’adozione dell’assicurazione obbligatoria contro le catastrofi naturali per le imprese è un segnale di quanto il riscaldamento globale comincia a costarci ma rappresenta una risposta concreta, trasferendo parte del rischio climatico al settore assicurativo. Allo stesso tempo, piani come il Pnacc (Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici) e il Pnissipuntano al rafforzamento della resilienza del territorio, in particolare tramite interventi sulla sicurezza idrica, come la ricarica delle falde, la digitalizzazione delle reti (smart metering) e la riduzione delle perdite.
Nel settore trasporti, il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha investito su ferrovie ad alta velocità, cold ironing nei porti, metropolitane e rinnovo della flotta di mezzi pubblici elettrici. Tuttavia, l’Italia è ancora in ritardo nella diffusione dei veicoli elettrici privati: le immatricolazioni BEV rappresentano meno del 9% del mercato, ben al di sotto della media Ue. Serve un’accelerazione decisa, attraverso incentivi mirati, infrastrutture di ricarica rapide e riforme che facilitino investimenti privati nel settore.
La conservazione della biodiversità è un altro fronte chiave dove, in questo caso, le esigenze di tutela del paesaggio, valorizzazione delle risorse naturali e sostenibilità ambientale vanno di pari passo. L’Italia ospita una straordinaria varietà di ecosistemi e specie, ma solo il 26% del territorio terrestre è protetto, e meno del 10% delle acque marine rientra in aree protette, ben al di sotto dell’obiettivo europeo del 30% entro il 2030 (di cui il 10% sotto protezione rigorosa). Le aree protette devono prevedere limitazioni alle attività impattanti, ammettendo al più la pesca artigianale e il turismo sostenibile.
La Strategia nazionale per la biodiversità 2030, adottata nel 2023, fissa obiettivi ambiziosi in linea con gli impegni Ue e internazionali. Tra questi: il taglio del 50% dell’uso di pesticidi, l’aumento dell’agricoltura biologica al 25% della superficie agricola e l’avvio di un piano nazionale per il ripristino ecologico, che dovrà coinvolgere almeno il 20% degli ecosistemi degradati entro il 2030, come richiesto dal nuovo Regolamento Ue sul ripristino della natura.
I benefici dalla sostenibilità, dalla tutela delle risorse naturali e del territorio e dalla riduzione dei costi dell’energia sono per tutti e non solo per chi è di destra o di sinistra. Oggi più che mai c’è assoluto bisogno su questa materia di superare le polemiche ideologiche e di remare assieme.















