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L’unità sindacale non tornerà. Merlo spiega perché

L’unità sindacale, almeno sino a quando la Cgil sarà guidata da Landini e il progetto politico del sindacato rosso sarà questo, è per il momento archiviata. La riflessione di Giorgio Merlo

L’unità sindacale, da sempre, è stato quasi un totem delle grandi organizzazioni sindacali del nostro paese: e cioè, Cgil Cisl e Uil. Un’unità che si basava fondamentalmente sulla necessità di saper convergere nella difesa degli interessi dei lavoratori e dei ceti popolari. Certo, l’unità sindacale ha avuto degli alti e bassi e non sempre le intenzioni, e la stessa volontà dei grandi leader e dirigenti delle tre confederazioni, si sono prontamente realizzate. Per svariate ragioni e per motivazioni il più delle volte dettate da valutazioni squisitamente politiche.

Ora, però, e per venire all’oggi, non possiamo non evidenziare che il tema dell’unità sindacale è destinato ad essere sacrificato sull’altare degli interessi e delle convenienze politiche della Cgil e del nuovo corso che ha impresso, ormai da anni, con la segreteria di Landini. Del resto, è noto a
tutti, salvo a coloro che sono accecati dall’ideologia o, peggio ancora, dall’ipocrisia, che la Cgil non è più un soggetto sindacale per come lo abbiamo conosciuto e sperimentato per svariati decenni.

La Cgil è diventata, a tutti gli effetti, e anche legittimamente, un soggetto politico. Ovvero, un partito. È stato aggiornata la storica e ormai famosa “cinghia di trasmissione” tra il partito di riferimento, cioè il Pci, e il sindacato. Oggi, l’approccio si è semplicemente rovesciato. Non è più il partito che detta l’agenda al sindacato ma è lo stesso sindacato che detta le priorità al partito e, di conseguenza, all’intero schieramento di sinistra e progressista. Perché ormai non c’è tema in cima all’agenda politica del partito che non veda proprio la Cgil in prima linea.

A prescindere dall’argomento, purché ci sia la possibilità di combattere il governo, attaccare il progetto politico del centro destra e, soprattutto, contestare e demolire anche ferocemente, come ormai registriamo da tempo – la premier e la figura politica di Giorgia Meloni. Appunto, un partito a tutti gli effetti. E non è un caso che la coalizione progressista oggi è formata da quattro sinistre: quella radicale e massimalista del Pd della Schlein, quella populista e demagogica dei 5 stelle di Conte, quella estremista ed ideologica del trio Fratoianni/Bonelli/Salis e quella classista e pan sindacale della Cgil di Landini.

Ecco perché, e di fronte ad un quadro del genere, il capitolo dell’unità sindacale è ormai solo un pallido ricordo del passato. Perché se la Cisl, un sindacato che è rimasto fedele alle sue storiche origini, e in parte anche la Uil, continuano a declinare un ruolo squisitamente e quasi statutariamente sindacale, la Cgil si è auto organizzata in un partito politico e, di conseguenza, partecipa al dibattito politico e pieno titolo. Per queste ragioni, semplici ma oggettive, l’unità sindacale, almeno sino a quando la Cgil sarà guidata da Landini e il progetto politico del sindacato rosso sarà questo, è per il momento archiviata.

A tutto svantaggio dei lavoratori e dei ceti popolari che dovrebbero essere al centro dell’azione del sindacato. Di qualsiasi coloro siano. Verrebbe da dire, e per fortuna, che ci sono ancora la Cisl e anche la Uil che continuano con coraggio, con coerenza e con onestà intellettuale a declinare una credibile e seria azione sindacale nel nostro Paese.


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