Il discorso di Capodanno è stato un capolavoro di consapevolezza istituzionale, di partecipazione autentica, di senso della Storia e del presente, e di empatia, che non ha molti precedenti nelle cronache di questo specialissimo dialogo diretto tra Presidente e popolo sovrano che, da occasione di galateo quirinalizio, ha conquistato una posizione assimilabile alle convenzioni costituzionali di tradizione anglosassone
C’è poco da fare: se in quella storia della Repubblica che Mattarella ha così asciuttamente sintetizzato con una passione ed una capacità pedagogica che in Italia riesce a trasmettere solo Benigni, abbiamo mai avuto un Presidente capace di accendere il lume della speranza, senza ricorrere ad enfasi e a vuotezze che la politica agita spesso spacciandole per verità e sentimenti, beh, costui è l’attuale inquilino del Quirinale.
Il discorso di Capodanno 2025 è stato, infatti, un capolavoro di consapevolezza istituzionale, di partecipazione autentica, di senso della Storia e del presente, e di empatia, che non ha molti precedenti nelle cronache di questo specialissimo dialogo diretto tra Presidente e popolo sovrano che, da occasione di galateo quirinalizio ha conquistato una posizione assimilabile alle convenzioni costituzionali di tradizione anglosassone. Il Capo dello Stato ha parlato al Popolo italiano non trascurando mai di raccontare la gravità del momento, partendo dal dramma delle guerre e dei popoli lasciati al freddo con criminale determinazione da parte di chi ha aperto le ostilità contro uno Stato sovrano come l’Ucraina o di chi, pur reagendo a orrori nella Striscia di Gaza ha concepito una rappresaglia senza limiti, agendo gli autori di entrambe le azioni belliche con l’incomprensibile e “ripugnante” determinazione di chi si oppone alla pace. Partendo da un dramma così devastante, Mattarella ha toccato la devastazione della nostra convivenza attraverso la violenza delle parole, che sono il veicolo privilegiato dell’odio, citando Papa Leone e raccogliendone l’invito a disarmarle, per giungere a suscitare in ognuno la domanda:”che cosa posso fare io?”, invitando a reprimere la sensazione d’impotenza che ci assale di fronte a tanta difficoltà. La risposta l’ha data il Presidente costituzionalista che ha seguito la scia intellettuale dei grandi Costituenti cattolici, a partire da Aldo Moro. E’ l’anniversario dell’Assemblea Costituente e del referendum che ci portò alla forma stato repubblicana: ottant’anni di democrazia con i suoi successi, dall’emancipazione femminile a quella dei lavoratori, dal servizio sanitario nazionale al ruolo italiano nell’edificazione dell’Europa unita, dall’Alleanza atlantica all’ingresso nel novero delle grandi potenze industriali del pianeta. E poi ancora cultura, arte, cinema, la Rai, la più grande impresa culturale del Paese; sport, con le nostre atlete e i nostri atleti ai vertici del mondo a proporre un messaggio di pace. Lo stesso messaggio che i nostri militari impegnati in preziose missioni di pace, portano nel mondo.
Che Italia ne è sortita? Un paese che ha costruito istituzioni così salde e partecipate da poter affrontare anche la stagione più buia, “la notte della Repubblica” con il suo repertorio di terrorismo e di stragismo, ed anche più tardi con gli attentati di mafia con le vittime che resteranno simboli perenni: Falcone e Borsellino.
L’Italia è oggi apprezzata in tutto il mondo per il suo genio, la sua arte, il suo stile di vita e questo ci deve rendere orgogliosi. Orgogliosi ma non paghi: dobbiamo contrastare vecchie e nuove povertà, comportamenti corruttivi, evasione fiscale, avere la consapevolezza della dimensione globale dei problemi, di nuovi linguaggi, rammentando, però, che nessun ostacolo è più forte della democrazia. È un invito alle giovani generazioni, ai ragazzi che oggi hanno l’età dei giovani di ottant’anni fa, quelli che fecero la nostra Repubblica. E’ un invito a guardare il futuro con fiducia, a non rassegnarsi, a farsi protagonisti, diremmo noi, della politica, sconfiggendo quel luogo comune che vuole i ragazzi ineluttabilmente lontani dalle urne e, dunque, dalla democrazia. Più spesso è la politica ad essere inesorabilmente lontana da loro. E questo il Presidente lo sa.
















