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Perché il compromesso Ue non risolve il ritardo europeo. La riforma farmaceutica vista da Pani

Di Luca Pani

Mentre la riforma farmaceutica Ue lancia un segnale politico su innovazione e accesso, continua a concentrarsi sull’esclusività più che su tempi e frammentazione. Intanto Stati Uniti e Asia avanzano su velocità regolatoria, dati e IA. La riflessione di Luca Pani, esperto di farmacologia, psichiatria clinica e scienze regolatorie, già direttore generale dell’Aifa

La riforma farmaceutica Ue appena concordata tra Consiglio e Parlamento è un messaggio politico prima ancora che normativo: l’innovazione va premiata, ma l’accesso va “costretto” a diventare reale. La nuova architettura mette otto anni di data protection a cui si aggiunge un anno di market protection, con possibili estensioni legate a criteri di valore (unmet need, nuove sostanze con trial comparativi e multicountry; nuove indicazioni con beneficio clinico) e con un tetto complessivo di undici anni. Quindi si guadagna poco rispetto ad oggi. Dentro c’è anche la parte meno glamour ma più “sovrana”: piani di prevenzione delle carenze, monitoraggio rafforzato e una lista Ue di shortage critici, con l’Ema chiamata a fare più regia operativa. E c’è un dettaglio che anticipa il futuro: le regulatory sandboxes, cioè spazi protetti per testare terapie e processi nuovi sotto supervisione delle autorità, ammettendo implicitamente (ma mai in modo chiaro) che la politica, da sola, non tiene il passo dell’innovazione.

Il ritardo strutturale europeo

Il punto è che la riforma prova a ottimizzare un’Europa che, nel frattempo, resta il continente dove l’innovazione arriva con calma olimpica. Nel 2023 il Nord America valeva il 53,3% delle vendite mondiali di farmaci e l’Europa il 22,7%; e soprattutto, il 67,1% delle vendite dei nuovi farmaci lanciati 2018–2023 è passato dagli USA contro il 15,8% dei “Top 5” europei. La riforma promette “accesso”, ma il termometro reale è un altro: secondo il W.a.i.t. indicator, in media in Ue si arriva al paziente dopo 578 giorni dall’autorizzazione; e meno della metà (circa il 46%) delle nuove terapie centrali risulta disponibile, mentre solo il 29% è pienamente accessibile via rimborso pubblico. In questo scenario, tagliare o modulare anni di protezione può essere un gesto simbolico potente, ma rischia di non colpire la vera frizione: la frammentazione “27 volte” (payers, Hta, tempi, budget), che produce ritardi strutturali più che conflitti ideologici.

Ricerca, capitale e regolamentazione

Intanto, gli altri non stanno discutendo solo di esclusività: stanno ridisegnando la filiera di potere tra ricerca, capitale e regolamentazione. Nel 2022 la spesa R&S farmaceutica era circa 71,459 miliardi di euro negli Usa, 47,010 miliardi di euro in Europa, 14,817 miliardi di euro in Cina e 10,363 miliardi di euro in Giappone. E sul piano dell’output, nel 2023 la Cina ha già superato l’Europa come “originator” di nuove sostanze lanciate per la prima volta: 25 contro 17 (USA 28) su un totale di 90. Gli USA, poi, trasformano velocità regolatoria in geopolitica industriale: nel 2024 la Fda/Cder ha approvato cinquanta nuovi farmaci, e il 68% è stato first approved negli Stati Uniti. Non basta: con il nuovo National priority voucher, un iter tipicamente da 10–12 mesi è stato compresso a due mesi, e i voucher emessi sono già 15. La Cina, dal canto suo, non gioca più solo in difesa: nel 2025 si contano 93 licensing deal overseas per $85 miliardi nei primi otto mesi dell’anno, cioè export di R&S, non di pillole. L’India rimane l’officina del mondo ma sta salendo di livello: esportazioni pharma a 27,8 miliardi di dollari nel 2024 e una quota dichiarata di circa il 20% del volume globale di farmaci e circa il 60% dei vaccini. Il Giappone, invece, continua a fare ciò che gli riesce bene: trasformare la regolazione in strategia-paese (Sakigake) “dal laboratorio al rimborso”, trattando la competitività come un percorso completo, non come una somma di norme.

La partita dell’IA

Su tutto questo incombe l’asteroide della IA. Oggi un farmaco richiede ancora 12–13 anni medi; e un costo stimato intorno a 3,13 miliardi di euro, con una selezione brutale (1–2 molecole su 10mila). L’IA non abolisce biologia e clinica, ma sposta il collo di bottiglia: a fine 2024 risultano oltre 75 molecole AI-derived arrivate agli studi sull’uomo. E la regolazione, finalmente, sta smettendo di guardare l’IA come una slide da convegno: l’Ema ha formalizzato una roadmap 2023–2028 per usare IA in automazione, insight e decision support. La Food and drug administration ha qualificato un primo strumento IA (Aim‑Mash) per standardizzare letture istologiche, con l’obiettivo esplicito di accelerare trial e ridurre variabilità. ha messo nero su bianco una draft guidance (2025) sull’uso dell’AI per dati destinati a decisioni regolatorie su sicurezza, efficacia e qualità. Qui entrano gli agentic systems: non “software che suggerisce”, ma agenti che pianificano, eseguono, verificano e iterano, ovvero delle pipeline operative autonome. Gartner prevede sì una selezione naturale (oltre 40% dei progetti agentic cancellati entro il 2027), ma anche un’infiltrazione capillare: 15% delle decisioni quotidiane e 33% dei software enterprise con agenti entro il 2028. Tradotto: la regolazione dovrà imparare a ispezionare non solo dati, ma processi autonomi, identità, audit trail e “catene di responsabilità” uomo-macchina.

Usare la riforma come trampolino

Ecco quindi, a mio parere, il vero punto critico: la riforma Ue discute ancora come se il baricentro fosse l’esclusività, mentre invece tutto si sta spostando sul tempo (di sviluppo, di revisione, di accesso al mercato), sui dati (qualità/interoperabilità), e sulla capacità computazionale. L’Ema ha governato bene, anche se lentamente, l’era dei dossier; quella che arriva è centrata sul flusso continuo: evidenze che si aggiornano, modelli che si riaddestrano, segnalazioni che triangolano in tempo reale. Se l’Europa vuole restare potenza regolatoria (e non diventare il museo mondiale delle buone procedure), deve usare la riforma come trampolino: sandbox vere, trial multicountry by design, accesso più uniforme e, soprattutto, una regolamentazione AI-native, capace di certificare e controllare agentic systems dedicati prima che lo facciano, con più velocità e più attrazione di capitale, Fda, Nmpa (l’ente regolatorio cinese, ndr), Pmda (quello giapponese, ndr) e i grandi hub indiani. La partita non è chi protegge di più, ma chi impara prima a governare l’automazione senza esserne travolto. Per sempre.


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