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A cena (e al college) da Vogue

Conde Nast International rende le sue testate sempre più dei brand. Dopo il successo ottenuto con i locali aperti nel 2004 a Mosca in partnership con società locali della ristorazione, l’editore delle versioni non statunitensi di Vogue, Wired, Vanity Fair e GQ sta sviluppando il business dell’hospitality e nei prossimi 12 mesi aprirà bar e club a insegna GQ e Vogue tra Middle e Far East e America Latina. Lo scorso febbraio è stato inaugurato con un grande party il primo GQ Bar di Istanbul nel lussuoso quartiere di Etiler. A giugno aprirà un Vogue Club su un grattacielo di Singapore, con ristorante e lounge. Le prossime tappe saranno Dubai e Bangkok, e più avanti l’America Latina. Nel frattempo a Londra sta per prendere il via il Condé Nast College of Fashion and Design, primo passo dell’editore nel campo dell’istruzione.

“Il nostro business – ha dichiarato a BoF-Business of Fashion Jonathan Newhouse, presidente e Ceo di Condé Nast International – non può più essere definito strettamente come editoria, ma sta assumendo la forma del brand management. Vogliamo far provare ai consumatori finali l’esperienza delle nostre testate in nuove forme, per rafforzare i brand stessi. E, naturalmente, miriamo a farlo in maniera profittevole”. Il concetto di diversificazione non è nuovo: già dall’inizio della recessione del 2008 che ha causato drastici cali degli investimenti pubblicitari, gli editori hanno iniziato a cercare di svincolare le proprie entrate dalla sola raccolta pubblicitaria. Le iniziative di Conde Nast International, secondo Newhouse, o sono già profittevoli o si prevede che lo diventino nel breve termine: “I cosiddetti non-core business hanno generato 18 milioni di dollari nel 2010 – ha dichiarato – e dovrebbero salire a 75 milioni quest’anno, rappresentando circa il 10% dei ricavi totali del gruppo”.


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