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I burocrati e i paliatoni a prescindere

Giovanni Panebianco è stato recentemente individuato quale nuovo segretario generale del Ministero dei beni e delle attività culturali (il MIBAC, oggi orfano della “T” del turismo), delicato ruolo di cerniera fra il vertice politico e le diverse Direzioni Generali in cui si articola il ministero stesso. L’articolo 6 del decreto legislativo 300 del 1999, che disciplina l’organizzazione dei ministeri, ci dice, infatti, che “il segretario generale opera alle dirette dipendenze del ministro. Assicura il coordinamento dell’azione amministrativa; provvede all’istruttoria per l’elaborazione degli indirizzi e dei programmi di competenza del ministro; coordina gli uffici e le attività del ministero; vigila sulla loro efficienza e rendimento e ne riferisce periodicamente al ministro”. Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera dell’8 agosto prende maliziosamente in giro il CV di Panebianco, a suo dire troppo lungo e dettagliato e, scomodando nel suo pezzo anche il Principe della Risata, si domanda cosa ci azzecchi col ministero, visto che della “cultura” egli non trova traccia nel curriculum. Alt, fermi tutti. Se è da apprezzare, senza retorica alcuna, il lavoro di Stella, che è professionista preparato e arguto, un mastino a scavare e portare alla luce magagne e malversazioni, il Nostro prende qui una sonora cantonata. Si potrebbe obiettare alla firma del Corriere che, ove il curriculum fosse stato troppo sintetico, si sarebbe con tutta probabilità abbattuta la condanna sul burocrate che nasconde e trama nelle segrete stanze. In realtà, il punto è un altro. La figura del segretario generale in un ministero, come spiega bene e senza fronzoli la legge, è di alto coordinamento politico-amministrativo: si tratta, per metterla giù semplice, di un guardiano dello scorrere liscio delle complesse attività della struttura, attento a che esse siano, inoltre, in linea con la direzione politica del dicastero. In altre parole: per svolgere funzioni di questo tipo al MIBAC non serve necessariamente un cattedratico di storia dell’arte, così come non serve un agronomo al ministero dell’agricoltura o un ingegnere alle infrastrutture e ai trasporti. Di tecnici ed esperti di settore sono zeppi gli uffici (o ne erano zeppi, visto il progressivo dissanguamento del personale pubblico): al vertice dell’amministrazione serve qualcuno che faccia marciare la macchina e che sappia oliare gli ingranaggi del motore, garantendo al ministro che vada nella giusta direzione. Vil razza dannata, quella dei burocrati, si sa: se, tuttavia, fosse consentito offrire a Stella un consiglio non richiesto, sarebbe quello di non farsi beffe – sia pur bonarie – della “vita di burocrate” del mezzemaniche di turno a prescindere (per replicare con Totò), ma di verificarne l’operato a posteriori e sottoporre a critica, anche dura, le cose fatte e gli atti prodotti, cosa ormai alla portata di chiunque visto il regime di amplissima trasparenza cui giustamente devono soggiacere i pubblici uffici. Gli amministratori pubblici vengono pagati anche per ricevere paliatoni, sia chiaro: ma li si faccia almeno sbagliare in santa pace, prima.


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