L’Occidente è avvertito, Mosca vuole affermare con vigore la propria presenza nel Mediterraneo. Parola dell’ammiraglio Ferdinando Sanfelice di Monteforte, esperto militare e professore di studi strategici, a cui abbiamo chiesto quali saranno gli effetti dell’imminente esercitazione navale russa. Tra gli obiettivi, c’è il rafforzamento del sostegno al regime di Assad, proprio nel momento in cui si appresta all’offensiva finale su Idlib, ultima roccaforte dei ribelli in Siria. Eppure, le mire del Cremlino sono ben più ampie, e non sempre confliggenti con quelle di Washington.
I NUMERI E GLI OBIETTIVI DELL’ESERCITAZIONE RUSSA
Con 25 unità navali e 30 aerei coinvolti nelle operazioni, l’esercitazione “è più grossa di quelle che i russi fanno periodicamente, anche se non tutti gli anni; il numero delle navi impiegate indica infatti che ci saranno non solo le unità della flotta del Mar Nero, ma anche quelle della flotta del Nord”. Il primo obiettivo, ha aggiunto, “è mantenere l’efficienza delle proprio forze a svolgere operazioni lontane, e questo è evidente se si considera la data di nascita delle navi che vi partecipano, generalmente molto vecchie”. Poi, c’è l’intenzione di “mostrare le proprie capacità anche agli altri e di affermare la presenza russa nel Mediterraneo”, ha rimarcato. Infine, Mosca vuole confermare il sostegno al regime di Assad, e non solo in quella che si annuncia l’offensiva finale su Idlib, ultima roccaforte dei ribelli. Difatti, “l’operazione – ha detto ancora l’esperto – conferma che i russi ricorrono sempre di più alle forze navali per appoggiare il proprio alleato, e per questo non è da escludere che all’esercitazione corrispondano operazioni dell’esercito siriano”.
LA RISPOSTA DEGLI STATI UNITI
Ora, gli interrogativi riguardano la possibile reazione dell’Occidente. Per ora, ha notato Sanfelice, “non credo che ci sarà risposta vera e propria da parte della Nato, la quale svolge le proprie esercitazioni secondo un calendario ben preciso che non viene modificato in casi come questo”. Piuttosto, “è interessante notare come la presenza russa abbiamo fatto modificare agli Stati Uniti i piani per una riduzione della presenza nel Mediterraneo. Oggi, gli Stati Uniti tengono nell’area una portaerei come ai tempi della Guerra fredda, non tutto l’anno ma abbastanza di frequente; e questo accade dopo tanti anni in cui non avveniva”, ha ricordato l’ammiraglio. “In questo momento, l’amministrazione Trump si è schierata dalla parte dei sunniti contro gli sciiti, costringendo così Turchia e Russia a sostenere i secondi in una guerra che dalla Siria arriva fino alla Yemen”. Non a caso, il 7 settembre saranno proprio i leader di Mosca, Ankara e Teheran ad incontrarsi per definire i futuri assetti siriani.
IL COMUNE OBIETTIVO DI WASHINGTON E MOSCA
Proprio lo scontro, “sempre più feroce”, tra sunniti e sciiti rappresenta “la vera escalation nella regione”, ha notato l’ammiraglio e professore di studi strategici. “È chiaro che russi da una parte e americani dall’altra vogliono manifestare il loro appoggio a una delle due parti, ma questo avviene poiché condividono il medesimo interesse: mantenere la galassia islamica in uno stato di debolezza”. Un’unificazione di tale galassia, ha rimarcato Sanfelice di Monteforte, “vedrebbe la nascita di una superpotenza che minaccerebbe tanto l’Occidente quanto la Russia”. Non è dunque un caso che Washington e Mosca, “divisi su tanti aspetti, siano uniti nella lotta al terrorismo islamico”. D’altronde, ha concluso l’ammiraglio, “abbiamo 500 anni di storia che ci dimostrano che l’Islam, quando unito, e soprattutto quando la galassia è capeggiata dagli estremisti, rappresenta per noi un pericolo; e anche noi italiani faremmo bene a non dimenticarcelo”.