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Avanti tutta sulla Difesa europea. Angelo Tofalo spiega perché (e come)

Di Angelo Tofalo
difesa

Questa Europa così com’è non funziona, va completamente ripensata! Il punto di partenza potrebbe essere proprio la costruzione di una Difesa comune e quindi la strutturazione di un’industria della Difesa europea. Sono tornato in ufficio da una settimana e questo weekend resterò al lavoro per organizzare le prossime che saranno molto impegnative.

In questi pochi giorni di stop dei lavori, per quel che ho potuto, mi sono riposato e sono riuscito a dedicarmi con maggiore calma ed attenzione alla lettura di alcuni dossier riguardanti l’attuale situazione della Difesa e gli equilibri Geopolitici che abbiamo ereditato. Ci tenevo quindi a condividere alcune riflessioni con voi prima di riprendere a pieno regime i lavori che la mia segreteria svolge in nome e per conto della nostra Repubblica, del Governo Italiano, del presidente Conte e, più nello specifico, del Ministro Trenta.

L’unico modo per stimolare un reale cambiamento è opporsi alle cattive abitudini trasformatesi con troppa facilità in prassi consolidate e sperimentare un pensiero nuovo che generi azioni volte a trovare sempre la migliore soluzione possibile, in qualunque circostanza. Innovare un settore, trasformare le modalità di gestione di un apparato organizzativo, costruire nuovi modelli di comportamento, sono azioni indispensabili per chi vuole portare avanti un lavoro che può anche generare piccoli errori di percorso (soltanto chi non fa non sbaglia) ma avvicina l’obiettivo della costruzione di un Paese moderno che vuole governare i fenomeni anziché subirli.

Quando si hanno responsabilità di governo è un dovere della politica fare scelte coraggiose per tutelare il futuro della Nazione, per favorire il benessere delle prossime generazioni, per stimolare comportamenti virtuosi nella popolazione e questo è possibile solo commissionando analisi e studi approfonditi utili a limitare il margine di errore in ogni singola scelta.

Da tempo ritengo che le nostre vulnerabilità siano il frutto di politiche di corto respiro, politiche che hanno focalizzato l’attenzione esclusivamente per la risoluzione del problema del giorno dopo.

Siamo stati spesso vittime di una visione limitata, se non addirittura nulla, soprattutto perché è venuto a mancare quel senso di missione istituzionale grande, importante, solenne, storica. Siamo figli di una mancata visione strategica. Operando così ci siamo trovati con un’Italia fortemente ridimensionata nello scenario internazionale e soprattutto nella situazione in cui l’Europa immaginata unita, politica e solida nel sogno originario dei padri fondatori, è oggi invece debole, divisa e troppo burocratica.

Tra l’altro in riferimento alla comune minaccia del terrorismo internazionale, se la società araba e le società islamiche hanno saputo reagire contro il jihadismo, il pericolo principale è proprio tutto interno alla società europea, alle sue debolezze e alle sue molteplici contraddizioni. L’inadeguatezza delle attuali classi dirigenti, la debolezza dei ceti medi e popolari massacrati dalla globalizzazione non lascia sperare in nulla di buono se non in un’Europa sempre più impaurita, chiusa, frammentata e quindi preda di riprovevoli narrative e derive islamofobe.

Eppure la civiltà europea è stata ed è ancora oggi unica perché unica ad essersi imposta nel resto del mondo. Ciò è avvenuto tramite molteplici cose: la conquista e l’insediamento, la sua potenza economica, la forza delle sue idee, e anche perché possedeva cose che tutti gli altri desideravano. Oggi in ogni parte del globo si utilizzano le scoperte scientifiche e le tecnologie che ne sono derivate, la scienza stessa è stata un’invenzione europea.

Perché non ripartire proprio da qui? dalla scienza, dalla tecnologia, dal know how, dall’industria e dalla difesa? Eviterò di entrare nel merito della discussione di un esercito europeo, delle sovranità di ogni singolo paese e dello scambio tra le Intelligence nel Vecchio continente, richiederebbe molto tempo e molte parole, ma non dobbiamo affatto trascurare l’enorme valore simbolico e l’efficacia di poter avere un’unica “industria europea”. La sua portata sarebbe straordinaria in termini economici e occupazionali e l’impatto che ne conseguirebbe in sviluppo e innovazione sarebbe elevatissimo.

Con una difesa comune forte ed autorevole saremmo finalmente in grado di avere una politica estera comune in linea con una forte e duratura crescita economica. Diversamente subiremo il nuovo ordine che si sta profilando e che viene dettato da altri grandi attori, trovandoci a competere con alcuni nostri principali interlocutori in modi anche fin troppo “aggressivi” (vedasi Mediterraneo, Nord Africa, Libia).

La Difesa europea potrebbe essere davvero il fulcro sul quale far ripartire quel sano originario motore europeista. Di certo non sto dicendo nulla di nuovo. Come più volte da me ricordato in parlamento durante la XVII legislatura questa via all’Europa unita fu già percorsa nel 1950 con la Ced, la Comunità Europea di Difesa, rapidamente poi affossata nel 1954 dalla Francia. Rilanciare oggi quest’idea ritengo sia un dovere istituzionale, con l’esperienza e la consapevolezza che molti altri tentativi di integrazione degli apparati non hanno funzionato. Basti pensare ai molteplici danni dovuti all’introduzione dell’euroche, se nella testa di qualcuno avrebbe dovuto integrare i cittadini europei per via monetaria, ha invece mostrato tutti i suoi limiti in assenza poi di un governo politico della moneta.

Altra importante riflessione va fatta sullo spesso citato “ombrello militare americano”, mi riferisco naturalmente alla protezione degli Usa ai paesi europei.

Sfido chiunque a dire che non siamo, ancora oggi, fortemente influenzati dalle scelte degli alleati ma sicuramente i rapporti si sono nettamente ridimensionati negli ultimi anni a partire dal dopo Guerra fredda. Dobbiamo prima di tutto fare una seria riflessione e ammettere, guardandoci allo specchio, che l’Europa comunitaria non fu un progetto del tutto europeo ma principalmente americano, in continuità al Piano Marshall (1947) e alla Nato (1949) dopo la Seconda guerra mondiale.

L’elezione di Trump e l’ottima sintonia creata con il nostro esecutivo nella persona del Presidente Conte ci offre una possibilità più unica che rara. Oggi siamo chiamati, come Italia, a ripensare ad un nuovo rapporto di collaborazione per rafforzare la nostra influenza internazionale. Dobbiamo spingerci gradualmente verso un importante ruolo strategico nella difesa dell’Occidente valorizzando in modo intelligente le nostre risorse umane e tecnologiche e provando a superare quel modello di totale subalternità dovuto principalmente dalla nostra incapacità di essere Sistema Paese.

Considerando l’attuale quadro geopolitico e geostrategico e le crescenti minacce globali la difesa comune europea non è più tanto da considerarsi come una possibile scelta futura ma altresì come una vera e propria necessità.Di cruciale importanza sarà quindi nei prossimi anni lo sviluppo di un’industria militare europea sufficientemente robusta e integrata. Il protezionismo reciproco fra i vari paesi europei ha moltiplicato e moltiplica ancora oggi i costi riducendo l’efficacia e la portata delle tecnologie e quindi degli armamenti europei.

Il finanziamento dei progetti di integrazione dell’industria militare non sarà facile da digerire per i singoli paesi ma è condizione necessaria (e non sufficiente) per arrivare ad una reale integrazione degli strumenti di difesa. Ci sono ancora dei fattori di fondo che infatti ostacolano, almeno momentaneamente, la costruzione di un’architettura difensiva europea, tra questi in primis il dislivello enorme fra le varie Forze armate dei diversi paesi, c’è poi la questione nucleare, tanto cara ad alcuni, l’assenza di una comune percezione delle minacce globali e il confronto tra memorie storiche e strategiche ancora troppo confliggenti.

Oggi sappiamo che un rapporto maturo tra interesse nazionale ed interesse europeo passa per la compenetrazione tra visione interna ed esterna. Proprio per questo sono estremamente felice di curare in prima persona due atti che ritengo strategici e necessari: il piano d’azione per la mobilità militare all’interno e all’esterno dell’Unione europea e il programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa e del Fondo europeo per la difesa.

L’Italia deve rafforzare da subito la sua capacità d’iniziativa politica e non vedere più l’Europa, a seconda del momento, come un dio o come un demonio.
Tutto sta nel vedere l’integrazione politica come un continuo negoziato, sicuramente molto complesso, in cui i vari Paesi si osservano, si studiano, prendono le misure l’uno con l’altro e competono in base alle loro idee politiche e soprattutto alla loro “potenza”. Come Italia dovremmo utilizzare tutti gli strumenti necessari a sviluppare coalizioni e aggregazioni industriali difendendo i nostri diritti di “soci fondatori”.

È infatti nostra la responsabilità di dover contribuire a rendere diversa l’Europa, accelerando processi di integrazione differenziata come nel caso della Difesa europea. Ognuno dunque faccia la sua parte con Forza e Onore.

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