Il compito che in umiltà ci assegniamo è l’avvio-ripresa di un serrato confronto sui molteplici aspetti della crisi politica attraversata dal nostro Paese integrati alla visione del mondo in cui viviamo.
Il primo ostacolo da superare è una sorta di provincialismo che conduce a guardare esclusivamente a quel che passa a casa nostra ignorando che l’Italia come ogni altro Paese-nazione-Stato vive in una stretta interrelazione, che per piani diversi, collega al resto del mondo, cioè al mondo stesso.
In un’altra stagione, che ha tratti di coincidenza analoga all’oggi, la linea scelta fu quella, dello “strapaese”. Pagine della letteratura e della cultura furono scritte e conservano ancora oggi quel carattere domestico nel quale sovente gli italiani hanno preferito stazionare, in una visione riduttiva e provinciale.
Ed in quel clima potè fecondare ed affermarsi il “fascismo”, come scelta che esaltava il nazionalismo e cioè la chiusura nell’angusto ambito nel quale, peraltro in contemporanea in Germania si doveva affermare altro nazionalismo quello ‘nazista’.
Per carità, non siamo alla stessa stretta. Ma facendo il karaoke al ‘prima casa nostra’ e ritenendo che la reazione americana oggi interpretata da Trump e la sua cultura ‘dell’incultura’ sia il modello da seguire.
Ignorando, poi, che Trump parla di una nazione-continente, che dalla sua storia, dalla rivoluzione americana alla guerra di secessione, aveva scelto di rifugiarsi nell’isolazionismo.
Wilson con la Prima Guerra, nella quale gli Usa intervennero decisivamente e Franklin Delano Roosevelt con la Seconda Guerra hanno rotto le paratie strette dell’isolazionismo ed hanno aperto ad una concezione delle relazioni politiche in termini globali ed ispirati ai valori più alti della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e quindi della saldatura ai principi della Rivoluzione Francese (Libertè, Egalitè, Fraternitè) determinando l’affermazione dei principi moderni della democrazia e della libertà.
Sul piano mondiale è stato affermato un quadro di scelte di valori e di istituzioni che hanno portato il mondo contemporaneo ad attestarsi sui modelli della democrazia repubblicana.
Pur con le tappe dolorose delle diverse guerre, che hanno macchiato aree della Terra, esterne all’Europa, del sangue di moltissimi uomini, la lunga stagione che dal 1945 porta ad oggi è stata la quella della pace, della libertà, della collaborazione, attraverso istituzioni internazionali che hanno garantito regole e condizioni indispensabili per il più poderoso sviluppo economico e sociale che l’umanità abbia conosciuto.
Questi valori della libertà e della democrazia, articolati in criteri, principi e regole che ne fissano e garantiscono l’esercizio pieno e responsabile, hanno determinato il quadro attuale dell’Europa, dato da Popoli-Nazioni-Stati tutti incardinati nelle regole della democrazia e quindi dell’esercizio delle libertà civili.
Fino a 30 anni fa in Europa la metà degli Stati erano autoritari, dittatoriali. Il fascismo residuava in Spagna, Portogallo e tentata di insediarsi in Grecia, tutta l’Europa Orientale era irregimentata nell’Urss e nella cortina di ferro.
Oggi il quadro è ben diverso. La seconda metà del secolo scorso ed i primi venti anni del corrente hanno realizzato appieno i termini della democrazia e cioè del sistema politico che si fonda sull’esercizio della libertà e per conseguenza dell’eguaglianza di principio tra gli uomini.
Questo quadro non è privo di problemi. Spesso, se non sempre, sono i problemi che derivano pienamente dalla progressiva affermazione ed attuazione dei principi di libertà, uguaglianza.
Nel contrastare il comunismo, con la minaccia che ha insidiato l’Europa fino al 1989, le forze democratiche, in Italia segnatamente quelle che si sono riconosciute nella politica di DeGasperi e della Democrazia Cristiana, hanno affidato alle ragioni ed allo sviluppo della libertà e della democrazia la possibilità di vittoria.
Così è stato storicamente. Cadute tutte le barriere di difesa delle nazioni, associate o alleate in sistemi, in Europa, quella Occidentale democratica ed Atlantica, e quella Orientale Comunista e Sovietica, si è aperta una fase totalmente inedita nella Comunità Economica Europea, inizialmente originata da ragioni difensive, ed hanno chiesto di entrarvi le nazioni-Stati sciolte dai vincoli della cortina di ferro.
L’Unione Europea ha integrato le regole del commercio e della produzione tra paesi, che in precedenza avevano le Dogane ed il passaporto per l’ingresso degli uomini e delle merci, e che avevano determinato due guerre mondiali.
Oggi questa conquista appare una realtà ancora insoddisfacente; ma la libera circolazione degli uomini e delle merci in quasi tutti i paesi dell’Europa ha rappresentato una conquista di civiltà.
Di pari passo si è andata ponendo ed imponendo una liberalizzazione sul piano mondiale dei commerci e delle produzioni. Lo sviluppo economico ha assunto un ritmo travolgente che ha portato paesi-continente come l’India e la Cina a diventare protagonisti dell’economia mondiale quando erano tributari ancora negli anni 80 degli aiuti alimentari.
Come non ricordare la grande lezione dell’ Enciclica “Populorum Progressio” di Paolo VI che aveva dettato le linee di ispirazione di una politica mondiale rivolta alla pace, alla collaborazione ed allo sviluppo.
Tuttavia i risultati conseguiti dagli svolgimenti storici non sono pienamente soddisfacenti. Perchéun continente come l’Africa, invece, ancora non è entrato in questo corso che conduce all’affrancamento dalla miseria, dalla malattia, dalla mortalità infantile. Ed anzi dal perpetuarsi di questi gravi problemi si origina un “problema” nuovo l’esodo attuale ed in prospettiva di milioni di uomini da quel Continente verso l’Europa.
Che, intanto per contrapposto, proprio dal suo sviluppo ha ricavato la spinta ad una prospettiva, invece, inquietante, quella del decremento demografico.
In termini di civiltà lo sviluppo dei principi di democrazia e di libertà, hanno causato, come avevano acutamente previsto prima Tocqueville, e nel nostro secolo Ortega Y Gasset ed Huizinga, una sorta di traboccamento nell’individualismo più assoluto ed esasperato.
Questo processo è l’aspetto più decisivo della crisi politica contemporanea, non soltanto dell’Italia. Il pensiero politico e sociologico e le filosofie incardinate sul Cristianesimo e fondamentalmente sul pensiero teologico di San Tommaso, a partire dalla fine dell’800 avevano elaborato una concezione dell’uomo come persona, che eccede e supera l’individuo. E questa impostazione ha trovato sbocco nelle Encicliche dei Papi da Leone XIII a Francesco, ne accetta il punto ‘dell’uomo come individuo’ ma non si esaurisce ed insterilisce in esso. Questa concezione mette in relazione la libertà dell’uomo a quella dell’altro. E così soprattutto la vita di ogni uomo ‘all’altro’.
Da qui una concezione personalistica che ha avuto il culmine nel pensiero di Jacques, Maritain in Francia ed in Italia a partire da Rosmini sino a Sturzo, (con una plurale differenziazione di apporti e sviluppi di pensiero che fa la ricchezza del filone cattolico-liberale) ha proposto una prospettiva che sembra ancor oggi valida e decisiva se si vuole recuperare e mantenere, nella dottrina come nella prassi sociale, saldo il rapporto sussistente tra “l’uomo e gli altri” e di tutti in comunità. A partire da quella immediata ed indispensabile per la riproduzione del genere umano, cioè la Famiglia, sino ai livelli concentrici nei quali si riconosce l’esigenza comune di vita e collaborazione.
È indispensabile una ripresa della riflessione ed al tempo stesso della più larga maturazione e diffusione di un pensiero che stia alla base della stessa vita sociale e politica. Non vi sono formule o formulette, come quelle ormai dominanti della improvvisazione istantanea e della precipitazione confusionaria in un indistinto nel quale si prepara l’avvento di un potere tecnologico che deve sostituire le prassi e le regole della democrazia, che ci assicurino il necessario.
Ed il necessario è dato dalla ripresa di una riflessione e di un approfondimento delle ragioni della politica. Quella stereotipata nel twitter ed in tutti gli strumenti della odierna comunicazione, che salta tutti i passaggi del pensiero. Ne deriva una semplificazione che è alterazione di ogni corretta visione delle cose e dei problemi.
Una politica democratica rifiuta l’impostazione tecnocratica o la pretesa elitaria degli esperti.
Oggi superata la barriera di classe, viene a maggior ragione rifiutata la ragione della differenza data dalla ricchezza o dall’appartenenza a questo o quell’altro circolo, di questo fiume o dell’altra spiaggia.
Ma a maggior ragione dalla pretesa intellettualistica di taluni operatori dell’informazione o della cultura, che, peraltro, hanno alimentato, con larghezza di profitti, quel qualunquismo che è base dell’attuale crisi politica.
I segni profondi della crisi del partito di sinistra, prima di classe, e poi ‘del politicamente corretto’ propongono i termini di metodo e sostanza di un’azione politica che voglia ritrovare le ragioni profonde del proprio proporsi, incontrando, innanzitutto, una storia, che, invece, in questi anni è stata alterata, travisata dalle rappresentazioni di comodo e dalle strumentalizzazioni che hanno reso la vota politica italiana una sorta di western dove i buoni venivano presentati come i cattivi e viceversa.
Una riflessione storica corretta è utile a comprendere scelte ed impostazioni, che, ancora oggi, devono essere mantenute.
Consente di cogliere gli errori e le mancanze delle esperienze passate, per evitarli in una storia nuova che si deve scrivere.
Allora il binomio cultura-politica appare in tutta la sua determinante necessità. E la riaffermazione o conquista nei modi e termini, che la realtà nuova esige, dei valori e degli ideali che il binomio popolo-libertà rappresenta, sollecita ed impone questo condizionamento.
È un compito senza pregiudiziali da affrontare con disponibilità generosa. Reimpostare il rapporto politica-cultura nel vivo della partecipazione civile è esigenza urgente. È esigenza raccogliere il senso delle esperienze della storia nazionale e della storia dell’intero mondo per potere comprendere ed affrontare i nodi delle interrelazioni strette che ormai vincolano la stessa quotidianità. Nessun rifugio “nello strapaese” del ” prima…” quando il prima non può prescindere dal resto.
E uomini che hanno avuto responsabilità nel passato non si ripropongono se non come testimoni che offrono la rappresentazione della propria esperienza perché una nuova generazione – conoscendola- sappia trarne le giuste e possibili ragioni, per un presente ed un futuro – che è diverso – ma che non è slegato dal passato.