Di fronte a minacce in rapida evoluzione, il mercato globale della difesa si presenta sempre più competitivo. Investimenti a livello nazionale e collaborazioni con partner stranieri sembrano elementi imprescindibili per permettere al comparto italiano di poter dire la sua, anche in Europa. In tal senso, può essere un utile case study Piaggio Aerospace, azienda ligure di proprietà del fondo emiratino Mubadala. A raccontarlo è stato lo stesso amministratore delegato Renato Vaghi, intervenuto all’evento “Investimenti per la crescita – L’industria della Difesa” che le riviste Airpress e Formiche hanno organizzato a Roma (qui un resoconto del dibattito).
UN MONDO IN RAPIDA EVOLUZIONE
“Molti tra noi sono cresciuti in un mondo analogico, diviso in macro blocchi e così stabile da apparire immutabile nelle sue contrapposizioni”, ha ricordato Vaghi. Oggi le cose sono cambiate: “Le contrapposizioni per macro blocchi sono sparite, lasciando progressivamente spazio a una fitta rete di relazioni multilaterali e bilaterali”. È cambiata la tecnologia, attraversata da una “rivoluzione digitale” che “ha cambiato in profondità la natura delle relazioni tra persone, entità e nazioni”. Eppure, ha notato, “permangono disparità economiche, sociali e di accesso alle risorse”, e ciò “cambia la natura delle minacce e dei conflitti, che spesso non sono più costituiti da un nemico facilmente individuabile”. Ne consegue un diverso “concetto di sicurezza” e un differente “tipo di impiego richiesto alle nostre Forze armate”.
IL MERCATO DELLA DIFESA
Proprio per questo, ha rimarcato Vaghi, “occorre guardare all’industria della difesa in maniera radicalmente diversa, dimenticando assiomi che sembravano immutabili e spingendo invece su maggiori investimenti per lo sviluppo delle capacità tecnologiche e industriali di cui il nostro Paese ha bisogno”. Inoltre, dato che i budget per la difesa crescono in tutto il mondo, si attivano “meccanismi competitivi che aumentano sensibilmente la portata degli investimenti necessari per mantenere il vantaggio competitivo”. Ne consegue l’esigenza di cercare “nuovi mercati di sbocco”, tra cui (come dimostrano diverse ricerche sul tema) spiccano tra gli altri Cina, India e Medio Oriente, “potenziali hot spot per joint venture” che permettano lo sviluppo di nuovi prodotti.
IL CONTESTO EUROPEO
È per gli stessi meccanismi che l’Europa si sta riorganizzando, ha notato l’ad, con un progetto che prevede l’istituzione di un Fondo per la difesa (Edf) da 13 miliardi di euro per il 2021-2027. L’obiettivo è “migliorare la competitività, l’innovazione, l’efficienza e l’autonomia dell’industria della difesa europea”, ma anche promuovere un approccio più “omogeneo e coerente, evitando duplicazioni”. Solo così, ha rimarcato Vaghi, il Vecchio continente potrà “competere con colossi come Stati Uniti, Russia e Cina”.
IL POSIZIONAMENTO DI PIAGGIO
Ed è in tale conteso che si inserisce Piaggio Aerospace, un case study interessante della nuova evoluzione dell’industria globale. Con base in Liguria e la quasi totalità di dipendenti italiani, Piaggio si presenta come un’azienda del bel Paese. Eppure, il suo capitale è detenuto al 100% dal fondo emiratino Mubadala. Tale natura “ci mette in condizione di avere un ruolo sia nei mercati di riferimento del nostro azionista, sia sul mercato europeo”, ha detto Vaghi. D’altronde, “gli Emirati Arabi e i suoi vicini e alleati territoriali si trovano in una zona del mondo oggetto di una forte instabilità geopolitica”. Si tratta di Paesi con “grande capacità di spesa”, che però “non per questo spendono in maniera dissennata”. L’Italia può guardare a loro “con la riconosciuta capacità di relazione con il mondo arabo”, che ha permesso anche l’investimento emiratino in Piaggio.
I PROGRAMMI
Ma la relazione può anche essere vista anche capovolgendo la medaglia: “Piaggio Aerospace – ha chiosato Vaghi – può portare valore al sistema-Paese”. Ne è un esempio il programma dei droni militari HammerHead, “iniziativa che vede in Leonardo il principale partner e che nasce proprio da una collaborazione intergovernativa tra Italia ed Emirati arabi”. Si basa sul velivolo civile P.180 e su “una supply chain in gran parte italiana”, la quale ha permesso di sviluppare la prima versione del drone, il P.1HH, su cui si basa il suo successore (P.2HH), attualmente al vaglio della commissioni Difesa di Senato e Camera per uno schema di acquisto di 20 macchine con relativi sistemi di supporto (766 milioni di euro fino al 2032). In caso di approvazione, ha ricordato Vaghi, l’Italia si garantirà il controllo di una tecnologia i cui costi di sviluppo (circa 1.5 miliardi di euro) vengono sostenuti per circa la metà dal nostro Paese, con un impatto occupazione “di oltre 400 persone medie dirette all’anno”, che arriverebbero a “1.300” considerando anche il contributo dell’intera filiera produttiva.
IL VALORE AGGIUNTO
Ci sarebbero poi le ricadute in termini di opportunità di mercato. “Il P2HH apre all’industria italiana della difesa le porte del mercato mediorientale e potenzialmente dell’estremo Oriente”, ha spiegato Vaghi, ricordando anche il posizionamento che il Paese otterrebbe nel contesto europeo, già impegnato nel drone Male 2025. In altre parole, ha concluso l’ad, “con tutta l’umiltà del caso, vogliamo che il frutto del nostro lavoro diventi patrimonio comune e veicolo di ulteriori opportunità, nella totale consapevolezza di quanto sia cruciale per le aziende e per l’Italia continuare ad investire in nuove tecnologie nel settore della difesa perché il nostro Paese continui a giocare un ruolo di primo piano a livello internazionale”.