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L’eurodepressione riaccende la miccia del debito privato

Finirà che per risanare i bilanci pubblici falliranno quelli privati. Ossia che la crisi dell’eurozona torni da dov’era cominciata: da quell’enorme debito privato che è stato la causa (prima ancora che la conseguenza) della crisi dei debiti sovrani.

Già, perché anni e anni di vulgata sulla cattiveria del debito pubblico hanno (volutamente?) messo in ombra l’estrema pericolosità del debito privato che, a partire dalla crisi subprime americana (debiti privati contratti per comprare abitazioni) ha costretto gli stati a metterci la faccia (e una montagna di soldi) per salvare il salvabile.

Senonché la strategia di nascondere la polvere del debito privato sotto il tappeto di quello pubblico aveva il fiato corto. Per gli stati è stata una scommessa che si potrebbe più o meno sintetizzare in questi termini: salviamo le banche e il sistema finanziario stressando i bilanci pubblici e poi, una volta che riparte la crescita, risaniamo i bilanci pubblici.

Senonché la crescita non è arrivata. Anzi, l’Ue è in preda all’eurodepressione.

L’austerità ha smagrito senza pietà i bilanci pubblici.

Il tappeto si è accorciato e la polvere è saltata fuori. Se n’è accorto pure il premier francese Hollande: “Senza crescita non c’è riduzione del deficit”, ha detto.

Maddai.

Tale condizione di austerità indotta ha finito col far tornare sotto pressione i bilanci privati: famiglie e imprese, scrive il Fondo monetario internazionale nel suo aggiornamento del rapporto sulla stabilità finanziaria globale, sono ancora pesantemente indebitate. E ciò ha un effetto diretto sui bilanci bancari, nel frattempo gonfiati di titoli di stato, che sono alle prese con uno dei disindebitamenti più eclatanti della loro storia.

Si calcola che le banche europee dovranno dimagrire per almeno 1.500 miliardi di euro.

E così il cerchio si chiude: il debito privato, che ha causato la crisi del debito pubblico, torna ad essere il problema.

Forse perché è sempre stato il problema.

Gioverà a coloro che non sono sordi, e quindi hanno voglia di sentire (leggere) tratteggiare per grandi linee quello che scrive il Fondo monetario sulla crisi europea e quella bancaria, che procedono a braccetto.

Sentite questa: “Una delle ragioni del fallimento delle economie avanzate nel rispondere ai sostanziali stimoli fiscali e monetario risiede nel fatto che le famiglie e le aziende in molti paesi sono pesantemente indebitate”. La cura prescritta è quella delle svalutazioni dei debiti. Il famoso de-leveraging. Sommessamente il Fondo nota che il superindebitamento privato è particolarmente pronunciato nei paesi periferici della zona euro.

Casa nostra.

Vediamo qualche numero. I dati sulle aziende non finanziarie ci mostrano che il primato del debito privato aziendale ce l’ha l’Irlanda. Qui i debiti aziendali valgono il 291% del Pil, a fronte di un debt-over equity del 135%. Quest’ultimo indicatore misura la quantità di capitale sottostante al debito. Per semplificare, un DoE del 135% vuol dire che ho 1,35 euro di debiti per un euro di capitale.

E questo secondo primato lo vince la Grecia, con un DoE pari a 237%. Che però ha un rassicurante 75% del Pil come ammontare totale di debiti corporate. Quindi le aziende greche sono sottocapitalizzate rispetto al debito che esprimono.

Noi italiani abbiamo debiti corporate per il 115% del Pil a fronte di un DoE del 140%. Gli spagnoli debiti corporate per il 180% del Pil e un DoE del 152%. In gran parte qui i guai sono concentrati nel settore delle costruzioni. Il Portogallo un debito pari al 157% del Pil e un DoE del 152%.

Dovrebbe essere chiaro a tutti perché i Piigs sono entrati in crisi, non appena è stato sottratto loro l’ossigeno finanziario.

Belgio e Francia hano la leva più bassa dell’eurozona, rispettivamente 52% e 78%, mentre il debito corporate è rilevante: 187% del Pil per il Belgio e 157% per la Francia.

La Germania è quella con meno debiti corporate, appena il 95%, con un DoE pari al 134%.

Ma l’eccezione non basta a rassicurare: nella parte debole dell’eurozona lo stato di salute delle aziende non finanziarie è peggiorato “mentre la crescita dei profitti rimane molto più debole del periodo del credit boom”.

Quando, vale a dire, le banche dei paesi forti prestavano a tutto spiano.

Un altro indicatore che testimonia questo stato di cose è il rapporto Debt-to-Asset, che misura la percentuale di patrimonio che una società si è procurata tramite debito. Per gli standard del Fmi un DtA superiore al 30% implica una alto livello di leva finanziaria, quindi di rischio sostenibilità.

Ebbene, i grafici raccontano che l’Irlanda, dopo il robusto deleveraging subito a partire dal 2008 (quado era il 40%) si colloca sotto quella soglia, insieme con la Francia. La Spagna, dopo aver sfiorato il 60% ora quota intorno al 45%. L’Italia intorno al 35%.

Se poi andiamo a guardare il livello sistemico, vediamo che gli squilibri dell’eurozona che hanno provocato la crisi permangono, o sono migliorati di poco. “Alcune banche nella zona periferica sono sotto pressione a causa della spinta del de-leveraging, il costo ancora elevato del funding, il deterioramento degli asset e i profitti deboli”. Detto in parole povere, le banche della zona periferica hanno sempre meno fieno in cascina.

I saldi di target 2 mostrano che il mercato interbancario è ancora frammentato mentre prosegue l’emorragia dei crediti concessi dal centro della zona euro alla periferia. Le banche francesi e quelle tedesche, ad esempio, hanno ridotto i loro crediti del 28 e del 39% verso i paesi periferici fra il giugno 2011 e il settembre 2012.

Di ciò ne ha risentito, e non poteva essere diversamente, il credito alle imprese, in declino in tutta l’eurozona, tranne un piccolo incremento nella solita Germania. Che come al solito fa tutto al contrario del resto del mondo.

Infatti la Germania è pure il paese che, a livello corporate, si è indebitato di meno, dal 2002 in poi.

Fatto 100 l’indice di quell’anno, la Germania non arriva neanche a quotare 130 a fine 2012,mentre la Francia, poco sopra l’Italia, supera 160, il Portogallo 170, il Regno Unito 180, la Spagna 200 e l’Irlanda supera 230.

Ma anche qui, lo stato di salute relativamente migliore della Germania non basta a far tirare il fiato al resto dell’eurozona.

La bomba del debito privato, insomma, è ancora fra noi.

Banche e imprese sono legate l’una all’altra, ma in un contesto di risorse scarse ciò comporta che un miglioramento finanziario dell’una implica un peggioramento dell’altra. I programmi della Bce, infatti, hanno diminuto le tensioni sui bilanci bancari senza però alleviare quelli delle imprese, sempre più in difficoltà.

A questa partita si aggiunge anche il debito delle famiglie, che soffre degli stessi mali di quello corporate: indebitamento crescente, redditi in contrazione a causa della disoccupazione, deterioramento degli asset, sia reali che finanziari.

Di fronte alla bomba innescata del debito privato, quello pubblico sembra una miccetta.


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