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Ordine d’arresto per Musharraf

L’immagine è quella di Pervez Musharraf che protetto dalla sua scorta lascia l’Alta corte di Islamabad a bordo di un Suv nero per rifuggiarsi a Chak Shahzad, sobborgo della capitale pakistana. Pochi minuti prima i giudici avevano respinto la richiesta di estendere la libertà condizionata su cauzione che tutelava l’ex presidente dal ritorno nel Paese dei puri lo scorso 24 marzo e ne avevano ordinato l’arresto.

La polizia presente non ha fatto in tempo a eseguire l’ordine. Il caso è quello che vede l’ex generale ed ex capo delle Forze armate sotto accusa per aver destituito i giudici della Corte suprema e costretto agli arresti 60 togati, compreso il presidente della massima istituzione giudiziaria, Iftikhar Muhammad Chaudhry, quando nel 2007 ancora al potere impose lo stato d’emergenza.

Una settimana difficile per l’ex leader militare salito al governo con un golpe nel 1999 e da quattro anni in esilio auto-imposto tra Londra e Dubai. Martedì il tribunale di Peshawar aveva respinto la candidatura di Musharraf per le elezioni del prossimo 11 maggio, nell’unica circoscrizione in cui l’ex dittatore era ancora in lizza: Chitral.

In precedenza erano state respinte quelle per correre nella capitale, a Kasur e a Karachi, città in cui Musharraf era atterrato a fine marzo. Su di lui pendevano le minacce dei talebani pakistani e lo spettro del possibile arresto per tradimento, sia per lo scontro con il potere giudiziario sia per le accuse di essere coinvolto nell’omicidio di un leader indipendentista del Belucistan nel 2006 e dell’allora leader dell’opposizione Benazir Bhutto nel 2007, cui non avrebbe garantito adeguata protezione.

I giudici avevano concesso all’ex capo di Stato una cauzione che lo ha tutelato dall’arresto in queste settimane, durante le quali ha preparato la sua candidatura alla guida della All Pakistan Muslim League in vista del voto di maggio, che vede favorito l’ex premier Nawaz Sharif, deposto proprio dal colpo di Stato di Musharraf quattordici anni fa.

A marzo era arrivata anche l’iscrizione dell’ex presidente nella Exit control list, che di fatto gli impediva di lasciare il Paese. Le settimane trascorse dal ritorno in Pakistan all’ordine di arresto odierno sono state segnate anche da dichiarazioni come quella in cui l’ex presidente ha ammesso un patto con gli Stati Uniti per garantire, in poche occasioni, l’autorizzazione a condurre attacchi con i droni in territorio pakistano nella campagna di lotta contro il terrorismo. Tema sensibile in Pakistan, il cui governo accusa Washington di violare la propria sovranità con gli omicidi mirati condotti usando gli aerei pilotati in remoto.

Una strategia iniziata sotto l’amministrazione Bush ma il cui uso ha conosciuto un crescendo con Barack Obama. Tra il 2004 e i 2013, dicono i dati raccolti dal Bureau of Investigative Journalism, i raid sono stati 368, di cui 316 durante i mandati di Obama. Il numero dei morti oscilla a seconda dei resoconti tra i 2.545 e i 3.533 di cui i civili si stima siano tra i 411 e gli 884.

Musharraf, ha detto il portavoce della All Pakistan Muslim League all’agenzia France Presse, farà ricorso alla Corte Suprema contro l’ordine. “È calmo e fiducioso. Faremo ricorso e se sarà respinto ci presenteremo davanti alla legge”, ha continuato, “Se l’arresto dovesse essere necessario, le autorità possono dichiarare la casa un carcere”. Certo è che tra l’ex dittatore e la Corte Suprema non corre buon sangue e il caso rischia di trasformarsi nell’ennesimo scontro tra poteri nel Paese dei puri.

Secondo il direttore per il Pakistan di Human Rights Watch, Ali Dayan Hasan, la “latitanza” di Musharraf indica il suo disprezzo per l’iter giudiziario e la convinzione che come ex capo delle Forze armate e dittatore non debba rispondere degli abusi. “È essenziale che i militari che al momento stanno proteggendo l’ex dittatore si attengano alla decisione della Corte e procedano con l’arresto”.



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