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Russia e Ucraina più divise. Scontro nella Chiesa ortodossa (l’ombra di Putin)

Alla fine, tira che ti tira, lo strappo è avvenuto. Nel mondo cristiano ortodosso è accaduta l’ipotesi peggiore, già paventata da tempo: Mosca ha sbarrato la strada all’indipendenza della chiesa di Kiev, e ora per l’Ortodossia si prospetta un periodo decisamente complicato.

La Chiesa ortodossa russa non accetterà infatti la decisione del patriarcato di Costantinopoli che, dopo avere nominato due esarchi, ha quasi avallato in maniera definitiva il riconoscimento dell’autocefalia della Chiesa ortodossa ucraina. Terrà cioè una “posizione ferma” contro la decisione che verrà eventualmente presa dal patriarca Bartolomeo e non riterrà legittimi, in termini di canone ecclesiastico, qualsiasi passo verso questa direzione. Un fatto cioè che minerebbe gravemente l’integrità del mondo ortodosso, perché quella stessa autocefalia provocherebbe l’interruzione “completa” della comunione eucaristica congiunta, e quindi la fine del legame tra Costantinopoli e la Chiesa di Mosca. Sarebbe infatti quest’ultima a chiedere uno scisma, sancendo la fine della posizione di primus inter pares del patriarca Bartolomeo, accusato di “papismo orientale”. Ovvero di eresia.

È stato lo stesso patriarca di Mosca Kirill a spiegarlo, nel corso di una sessione di emergenza del Santo Sinodo; nella pratica, interrompendo i rapporti diplomatici tra le due istituzioni ortodosse, come specificato anche dal responsabile dei rapporti esterni del Patriarcato di Mosca, il metropolita Ilarion. “Questa azione è stata intrapresa in violazione dei canoni della Chiesa e non può rimanere senza risposta”, è quanto affermato dal metropolita.

Dopo la notizia della decisione di Bartolomeo comunicata nei giorni scorsi a Kirill, secondo quanto diffuso su Ukrainska Pravda citando il portavoce della Chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Kiev, manca solo il testo ufficiale. “Ci sono le basi per un ottimismo moderato sebbene non bisogna dimenticare che il diavolo si nasconde nei dettagli”, ha spiegato lo stesso arcivescovo ucraino. Ma la questione, almeno alla base, più che religiosa è squisitamente politica.

È stato infatti il parlamento ucraino a chiedere nel giugno dello scorso anno a Bartolomeo, nel momento più simbolico e delicato possibile, ovvero in contemporanea del Concilio di Creta, in cui spiccava l’assenza del Patriarcato di Mosca e dove la divisione era ovviamente l’esatto opposto della premessa, di riconoscere ufficialmente un’unica Chiesa ortodossa ucraina. In risposta, Bartolomeo mise in piedi una commissione di approfondimento, mentre tra i banchi del parlamento ucraino si era perfino pensato di riconoscere per legge l’obbligo dell’indipendenza della Chiesa nazionale da altre estere, come quella russa. Un fatto, quest’ultimo, del tutto indigeribile per Kirill ma soprattutto per Vladimir Putin, che già a Parigi sta da tempo cercando di attirare alla Chiesa russa gli ortodossi francesi, principalmente legati a Costantinopoli, costruendo ad esempio una cattedrale con la cupola d’oro a due passi dalla Torre Eiffel.

Nei giorni scorsi il capo del dipartimento sinodale per i Rapporti con chiesa, società e media del patriarcato di Mosca Vladimir Legoyda aveva descritto la decisione di Bartolomeo come una “pesante e senza precedenti incursione nel territorio canonico del patriarcato di Mosca”. Sperando così, dopo l’incontro del 31 agosto scorso tra il patriarca di Mosca e quello di Costantinopoli, di attuare un’ultima disperata opera di dissuasione, che a nulla è però servita. Il presidente ucraino Petro Poroshenko nei giorni scorsi non aveva avuto alcuna esitazione nello spiegare che, “proprio come per l’adesione alla Nato e all’Unione europea, non chiederemo il permesso a Putin o a Kirill”. Si tratta di una questione di “sicurezza nazionale”, aveva precisato ancora il presidente ucraino, visto che si cominciava già a parlare di invasione di hacker russi.

“Ritengo assolutamente necessario tagliare tutti i tentacoli, col paese dell’aggressore, all’interno del nostro stato. La Chiesa ortodossa sotto il Patriarcato di Mosca è separata dallo stato russo solo sulla carta. Essa sostiene, pienamente e incondizionatamente, la politica imperialista del Cremlino”, aveva ancora aggiunto Poroshenko durante l’anniversario della cristianizzazione della Rus’ di Kiev, la più antica entità statale slava. Andandoci giù pesante.

La questione si origina nel concilio del 2016, anche se per capire meglio i fatti bisogna in realtà risalire fino al 1961, con l’istituzionalizzazione dell’idea di un “concilio pan-ortodosso”. La questione del primus inter pares prende vita proprio all’interno di temi, irrisolti, come l’autocefalia delle singole chiese e la giurisdizione di Costantinopoli sulle altre chiese ortodosse quando al di fuori dei loro confini storici. Durante l’Unione sovietica, infatti, l’Ucraina ortodossa si trovava ovviamente legata a Mosca, ma dopo la caduta dell’Urss questa si divise in tre. Oltre al legame con la Russia arrivò la Chiesa autocefala e il patriarcato di Kiev, entrambi mai riconosciuti dagli altri patriarcati ortodossi. Se la prima infatti, autocefala, nacque nel lontano 1921, le altre due comparvero nel ’90 e nel ’92. E l’ultimo è sempre stata apertamente a favore dell’indipendenza ucraina. Da quegli anni il rapporto intrattenuto da Kiev con Costantinopoli ha sempre avuto alla base l’idea di riconoscere una unica chiesa ortodossa ucraina per le tre anime. Nonostante la costante avversione della Russia, che oltretutto prende dall’Ucraina buona parte del suo clero.

Ma la crisi della Crimea degli ultimi anni ha inasprito le divergenze tra gli ortodossi ucraini, cioè tra chi è schierato con Mosca e chi con Kiev. Senza contare poi la presenza degli uniati, i greco cattolici ucraini, che accusano Mosca di essere una minaccia e si trovano a loro volta accusati di fare proselitismo in Ucraina a favore della Chiesa romana. Non è un caso se molti di loro hanno criticato la dichiarazione finale dell’incontro tra Papa Francesco e Kirill a Cuba, giudicandola troppo spostata verso le posizioni russe. Ma è lo stesso Bergoglio, come ha riportato tempo fa il vaticanista Magister, che ha dimostrato di essere personalmente contrario all’uniatismo, il proliferare di unione di Chiese orientali con Roma, legate cioè alla comunità greco-cattolica, e che tuttavia i cattolici “mai promuoveranno atteggiamenti di divisione”. E che non è il caso che i cattolici si impiccino delle questioni interne agli ortodossi russi.

Basta ascoltare quanto Francesco aveva affermato a maggio, parlando a una delegazione russa ortodossa guidata da Hilarion, in cui ha specificato che “la Chiesa cattolica, le Chiese cattoliche, non devono immischiarsi nelle cose interne della Chiesa ortodossa russa, neppure nelle cose politiche”. “Noi mai ci permetteremo di fare questo, non lo voglio”, aveva chiarito parlato della questione dell’uniatismo, appoggiando perciò, su questo, la posizione russa: “a Mosca, in Russia, c’è un solo Patriarcato: il vostro. Noi non ne avremo un altro”.

“Le espressioni secondo cui senza il Patriarcato di Costantinopoli tutte le altre Chiese locali sono pecore senza pastore, e Costantinopoli incarna l’ethos dell’Ortodossia, e ha diritti speciali di giurisdizione finale su tutta la Chiesa per assicurare la sua unità riecheggiano le opinioni cattoliche sul ruolo del Papa nella Chiesa, e questa è già una pura eresia”, ha invece tuonato l’arciprete e membro della Commissione teologica del Patriarcato di Mosca Andrey Novikov, scagliandosi contro Bartolomeo e parlando di “una tendenza”, quella cioè del cosiddetto “Papismo orientale”, che cerca “di imporre alla Chiesa ortodossa il modello cattolico romano, contrario alla Chiesa così come è stata costituita da Gesù Cristo”.

Se questo accadrà, diceva nei mesi scorsi il portavoce del Patriarcato di Mosca Hilarion Alfeyev, con santuari simbolo come il Monastero delle Grotte di Kiev in mano agli “scismatici” di Kiev, in Ucraina “scorrerà il sangue”.



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