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Così Trump mette il turbo all’industria (americana) della Difesa. Il report del Csis

L’effetto Trump sul comparto industriale della difesa si fa sentire e come. Negli ultimi due anni il valore dei contratti siglati dal Pentagono è aumentato del 13%, un trend destinato a confermarsi anche nel prossimo futuro. Il tutto, accompagnato da priorità diverse sul procurement militare: l’era del “cost control” è terminata, e ha lasciato il posto alla richiesta di consegne più rapide e di prodotti altamente tecnologici, indispensabili per far fronte al ritorno della competizione tra grandi potenze. È quanto emerge dall’ultimo report dell’autorevole Center for Strategic and International Studies (Csis) di Washington, dedicato agli “Acquisition Trends 2018” del dipartimento della Difesa americano.

LA CRESCITA DEI CONTRATTI

Tra l’anno fiscale 2015 e 2017, il valore dei contract obligations del Pentagono è cresciuto del 13%, tre punti in più rispetto alla crescita dei contratti non-defense. Ad ogni modo, tale aumento “non è uniforme”, attestandosi al 22% per i prodotti, al 5% per i servizi, e al 6% per i contratti legati a ricerca e sviluppo (R&D). Il valore complessivo è passato dai 282,5 miliardi di dollari nel 2015 ai 319,8 del 2017. Tra l’altro, passa dal 48% al 52% il loro peso rispetto alla DoD Total Obligational Authority, cioè il totale della spesa autorizzata al Pentagono. Da notare che il trend di crescita, previsto anche per i prossimi anni, arriva dopo una riduzione pressoché costante dei suddetti valori dal 2010 al 2015.

DOVE HA SPESO IL PENTAGONO

Sempre considerando il valore, il 51% dei contratti siglati lo scorso anno ha riguardato i prodotti (48% nel 2015), il 41% i servizi (in calo rispetto al 44% di tre anni fa) e l’8% le attività R&D. La crescita ha attraverso in maniera diversa i settori produttivi. Il valore dei contratti nel segmento Aircraft è cresciuto del 34% nei due anni in questione, seguito dal +32% registrato da Ordnance & Missiles e dal 22% di Ships & Submarines. In calo la difesa aerea e missilistica, che ha visto ridursi il valore dei contract obligations di circa l’11%.

IL NUOVO FOCUS INDUSTRIALE

I numeri, spiega il report, sono trainati da un diversa proiezione strategica degli Stati Uniti, descritta nei documenti della nuova amministrazione: la National security strategy (Nss) e la National defense strategy (Nds). È in tal senso che “l’effetto Trump” si sta facendo sentire sul comparto della difesa. Il punto centrale è “la pesante enfasi sulla competizione tra grandi potenze”, che “influenzerà il tipo dei sistemi d’arma e di capacità che il DoD svilupperà e acquisterà in futuro”. Il trend si è comunque già manifestato dal 2015, probabile effetto dell’inasprimento dei rapporti con la Russia che ha fatto seguito alla crisi ucraina scoppiata l’anno prima. “Nella prima parte di questo decennio – si legge nel report – il controllo dei costi è stato il maggior imperativo per la gran parte degli sforzi di riforma del sistema della acquisti”. Oggi, invece, “la spinta predominante, sia dal dipartimento della Difesa che dal Congresso, è per una maggiore velocità e per porre freno all’erosione del vantaggio tecnologico del Pentagono rispetto ai competitor”, che i documenti sopracitati individuano soprattutto in Cina e Russa. Ciò ha determinato la predilezione per venditori unici, capaci di offrire prodotti e servizi completi. Inoltre, “sarà un tema costante” l’attenzione di Capitol Hill per l’Information technology.

COME CAMBIA IL COMPARTO AMERICANO

Tutto questo ha già avuto ripercussioni sul sistema industriale. “Le fusioni e le acquisizioni nel settore della difesa sono aumentate negli ultimi due anni e, allo stesso tempo, le strategie aziendali perseguite dalle diverse aziende si sono notevolmente diversificate dopo un lungo periodo di pressoché totale uniformità”. Così, se in passato il focus era “sulla riduzione dei costi e sull’aumento delle vendite internazionali”, ora “nell’attuale fase espansiva sono emerse strategie molto diverse”. In particolare, “alcune aziende si sono concentrate sulla richiesta DoD relativa all’innovazione tecnologica; altre si sono concentrate sull’acquisizione di maggiori ricavi dalle linee di prodotti esistenti espandendosi nei servizi; mentre altre ancora hanno cercato di spostarsi da quelli che percepiscono come servizi a basso margine per concentrarsi sull’integrazione e sottosistemi ad alto margine”.

I BIG FIVE SUPERANO TUTTI

A dimostrarlo, ancora una volta, i numeri. A beneficiare dell’aumento dei contract obligations sono stati soprattutto i “big five” americani (Lockheed Martin, Boeing, Northrop Grumman, Raytheon e General Dynamics), per cui il valore dei contratti è cresciuto del 35% negli ultimi due anni. Incrementi più bassi, ma comunque considerevoli, per le piccole (10%) e medie (9%) imprese, mentre pressoché assenti per gli attori “large” (solo un +1%). Questo si è tradotto anche nella riduzione della competitività e dei venditori unici al Pentagono, scesi del 9%, un dato che appare di “potenziale preoccupazione” rispetto all’obiettivo dell’attuale amministrazione di sostenere l’industria nazionale ampliando la base dei fornitori. In ogni caso, il report dimostra ciò che gli analisti avevano predetto da tempo: l’effetto Trump sulla spesa nella difesa e sul comparto industriale è destinato a farsi sentire anche nei prossimi anni.



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