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Lo tsunami nel Pd e la ricostruzione della politica

Dopo lo tsunami che ha travolto il PD, ultimo esempio di un partito che ha tentato di sopravvivere alla fine della Prima Repubblica passando dalla metamorfosi PCI,PDS.DS alla convergenza sofferta  della Margherita nell’Ulivo nell’attuale PD, e al naufragio vissuto drammaticamente dallo stesso PD in questi giorni, una seria riflessione si impone nella politica italiana.

Resistono solo i partiti a dominanza personale come il M5S, il Pdl e, con grandi tensioni interne, la Lega, mentre sono scomparsi i partiti di Casini, Fini, Di Pietro, quello dei radicali.  La residuale truppa della scelta civica di Monti è già squassata dai rapporti tesi tra ex UDC e montezemoliani, con Olivero e Riccardi, esponenti senza truppa di un cattolicesimo sociale e di testimonianza culturale sparso su diversi e multiformi rivoli.

Nel PD le dimissioni annunciate di Bersani e di Rosy Bindi, dopo la bocciatura a opera di contrapposti oppositori alle candidature di Marini e di Prodi, sono la definitiva dimostrazione di una miscela politico culturale impossibile tra diverse componenti di origine cattolica e quella di derivazione marxista-comunista.

La pattuglia dei dossettiani, democristiani di risulta, e di quanti seppero utilizzare l’ultima stagione della DC per interesse politico personale alla Bindi, sostanzialmente schierati nell’Ulivo da “cattolici adulti” a fianco di Romano Prodi, già incompatibili nella DC con gli esponenti dei cristiano sociali alla Marini e dei residui popolari martinazzoliani, difficilmente avrebbe potuto convivere non solo tra di loro, ma, ancor di più, con quanti nel PD rappresentavano le diverse anime del PCI-PDS-DS, divise tra amici di D’Alema, Veltroni e Bersani.

Situazione resa ancor più complicata dalle scelte che con le primarie hanno portato a selezionare tra i candidati per le elezioni del febbraio scorso, persone “espressione dei territori”, molte delle quali non ascrivibili rigidamente e strutturalmente alle componenti suddette.

Scomparso il centralismo democratico, che era stato il collante tradizionale dell’unità comunista, tutte le contraddizioni derivanti da un’ambigua e non sintetizzata unitaria cultura politica, non potevano che emergere nelle forme che drammaticamente si sono evidenziate nelle votazioni per l’elezione del presidente della Repubblica.

E’ successo così, per la prima volta nella storia repubblicana, che un partito, con meno del 30% del consenso elettorale, rafforzato nella rappresentanza parlamentare dal moltiplicatore dell’odiato, ma funzionalissimo “porcellum”, pur disponendo di quasi il 50% dei voti utili per eleggere un presidente della Repubblica a maggioranza assoluta, non sia riuscito a far vincere, per i veti incrociati interni, un proprio candidato, dovendo alla fine  supplicare il presidente Napolitano ad accettare la riconferma nel suo incarico.

E’ la dimostrazione sperimentale, come vado sostenendo da tempo, del vecchio adagio donat –cattiniano per cui nel PCI, come nei suoi legittimi eredi, PDS, DS, PD : “ è sempre il cane che muove la coda”. Salvo che, nella vicenda dell’elezione del presidente della Repubblica, anche il cane si è dovuto rimettere alla disponibilità di un suo vecchio dominus senza il quale lo sfascio del partito si sarebbe riversato nello sfascio stesso della Repubblica.

Il trauma vissuto in queste ore del PD non deve, tuttavia, far gioire quelli che, come noi, da sempre si sono schierati in alternativa a questo partito. La crisi del PD fa venir meno una delle componenti essenziali del confronto democratico nella politica italiana.

Personalmente, lettore e studioso appassionato delle teorie di Vilfredo Pareto e Gaetano Mosca sul ruolo decisivo delle minoranze organizzate nella politica, sono molto perplesso nella possibilità, peraltro sin qui artificiosamente dimostrata, di una minoranza artificiosamente organizzata quale quella dei cliccanti del web, in grado di guidare un processo di crescita e di sviluppo della politica in un sistema democratico.

Sono troppo forti le possibilità di manipolazione e di scarso controllo della rete web. Ed é ancora troppo grande il digidal divide in una realtà come quella italiana, per credere che attraverso il computer si possa garantire la regola aurea della democrazia: una testa un voto.
Credo, invece, che sia ancora essenziale la democrazia rappresentativa, garantita dai partiti al cui interno siano presenti regole di assoluta trasparenza e partecipazione democratica.

Così come sono convinto che, dopo il naufragio del PD, sia necessario ricostruire le culture politiche italiane, riaggregando le componenti fondamentali attorno alle due polarità esistenti nello scenario europeo e che hanno costituito larga parte della vicenda storica italiana: il polo che fa riferimento alla sinistra socialista e comunista europea e quello che fa riferimento alla cultura dei popolari, liberali e democratico cristiani.

E’ tempo che nel PD, o come si chiamerà il futuro partito, trovino casa quanti nell’attuale barca alla deriva si sentono legati all’area politica socialista di riferimento europea e che nella sezione italiana del partito popolare europeo trovino casa quanti, provenendo dalle tradizioni democristiana, socialiste anticomuniste, liberale e della destra nazionale, intendono condividere tale prospettiva.  Anche la Lega dovrà compiere la sua scelta, magari attraverso la formazione di partiti di ispirazione cristiano sociale sul modello della CSU bavarese, federabili con il PPE . Lo stesso movimento di Grillo, superata la fase di statu nascenti e del dominio carismatico del capo esterno,  finirà con il dislocarsi nelle polarità nelle quali le diverse componenti troveranno la più coerente collocazione.

Ciò comporterà nell’immediato un presidente di garanzia, come Napolitano e un cambiamento del sistema attraverso una Costituente in grado di assicurare insieme una legge elettorale maggioritaria a doppio turno e un sistema semi-presidenziale alla francese di cui l’Italia ha necessità.

Dopo la repubblica dei partiti, che non era né quella parlamentare indicata dalla Costituzione, né quella presidenziale verso cui ha sempre più teso l’esperienza vissuta da Scalfaro a Napolitano, con la crisi degli stessi, per superare quella sorta di monarchia costituzionale in cui siamo caduti, è indispensabile assicurare la scelta del presidente della Repubblica ai cittadini elettori. Sarà questa la strada per evitare che siano le urlanti tricoteuses delle diverse fazioni schierate attorno a Montecitorio, con l’aiuto degli anonimi cliccanti della rete, a decidere gli orientamenti di improvvisati grandi elettori, che ci hanno dimostrato l’impotenza politica di questi drammatici giorni della Repubblica italiana.

Ettore Bonalberti- Venezia 22 aprile 2013



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