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La parabola di Bersani


Dalla non vittoria alle dimissioni: in poco meno di 60 giorni si consuma la parabola politica di Pierluigi Bersani alla guida del Partito Democratico. Il 26 febbraio il segretario commenta il risultato delle elezioni: sono trascorse più di 24 ore dalla chiusura delle urne, l’attesa vittoria non è arrivata. “Non abbiamo vinto anche se siamo arrivati primi” dice.Il primo banco di prova nel partito è la Direzione generale del 6 marzo trasmessa in diretta Web, decisione che molti vedono come influenzata dal Movimento 5 Stelle. I contatti con Beppe Grillo per la formazione del governo sono in corso: Bersani presenta i suoi 8 punti per il cambiamento. “I rapporti di forza ci consegnano la responsabilità di avere noi una proposta per il Paese”.Il 20 marzo, dopo l’insediamento delle Camere, il Presidente della Repubblica Napolitano inizia le consultazioni per formare il governo. Il pre incarico è affidato a Bersani, che accetta e avvia un giro di consultazioni per capire se si possa trovare una maggioranza in Parlamento. L’obiettivo è il Movimento 5 Stelle, il 27 si svolge l’incontro con i capigruppo Crimi e Lombardi: è un nulla di fatto. “Inviterei a una riflessione tutti quanti, purtroppo qui non è Ballarò, siamo in streaming ma è una roba seria”.Le consultazioni di Bersani non sono risolutive. Arriva l’apertura di Silvio Berlusconi a un governo di coalizione con il leader del Pd premier, ma lui dice no al governissimo. “Sarebbe un governo immobile, sarebbe una politica che finirebbe su una zattera sempre più piccola in un mare molto agitato”.A un mese dalle elezioni il governo non c’è, ma è tempo di eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Bersani, a questo punto, cerca le l’intesa con il Pdl: dall’accordo esce il nome di Franco Marini. Una scelta che divide il Pd, i renziani non ci stanno e non sono i soli. La prima votazione va a vuoto, scatta la resa dei conti: il nuovo nome su cui puntare è Romano Prodi, il padre fondatore dell’Ulivo, sostenuto anche da Sel. Ma nonostante l’autorevolezza del nome, anche questa volta le cose vanno diversamente: al quarto scrutinio a Prodi mancano addirittura 101 voti. Un numero che mette la parola fine alla segreteria di Bersani. “Abbiamo bruciato un padre della patria. Per me è troppo” dice all’assemblea del Pd, consegnando le sue dimissioni e accusa: “Uno su quattro tra di noi ha tradito, è inaccettabile”.

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