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Open data e civic tech a Taipei. Appunti dal G0v Summit 2018

Di Federico Anghelé

Con oltre 800 partecipanti provenienti da tutta l’Asia, relatori da 23 Paesi, 60 panel divisi in 3 intense giornate, il g0v Summit 2018 concluso da poco a Taipei è il più importante evento in Estremo Oriente dedicato agli open data, al civic tech, all’open government. Non è un caso che questo appuntamento biennale sia nato proprio a Taiwan: la piccola isola nel Mar Cinese è considerata nella regione un punto di riferimento avendo saputo coniugare la democrazia, diritti con un’elevata ricchezza e qualità della vita.

Tutti conoscono il vorticoso sviluppo della Tigre asiatica, ma molto meno nota è la vivacità della società civile a Taiwan a cui si devono, tra l’altro, straordinarie battaglie per ottenere trasparenza dalle istituzioni. Nel 2014 Taipei fu teatro della cosiddetta “rivoluzione dei girasoli”, con un nutrito gruppo di studenti che – dopo le dimostrazioni di piazza – occupò per una settimana il Parlamento. Il casus belli scoppiò quando il partito di maggioranza, il Kuomintang, forzò la mano per far approvare un trattato commerciale con la Cina senza discuterlo articolo per articolo. In un Paese nato dall’eredità della Cina nazionalista, in opposizione a quella comunista e sempre più allarmato dall’aggressivo espansionismo di Pechino, l’assenza di trasparenza nella discussione di un accordo così cruciale era sembrata un affronto, soprattutto per le nuove generazioni, abituate a un confronto più laico e meno reverenziale nei confronti dello scomodo vicino.

La rivoluzione della trasparenza non era scaturita dal nulla però: Taiwan vanta una floridissima comunità di tecnici IT e il settore della tecnologia è sempre più trainante per l’economia locale. Alcuni di quei tecnici (informatici, ingegneri, sviluppatori) avevano dato vita già nel 2012 al collettivo g0v (da leggersi g0v zero) nato dalla volontà di utilizzare le tecnologie per promuovere il benessere collettivo, la condivisione di informazioni, la trasparenza della pubblica amministrazione e della politica. Composta da attivisti “non organizzati” (non più solo tecnici, ma anche creativi, giornalisti, scienziati sociali), la comunità g0v ha avuto un ruolo importante nella rivoluzione del 2014 e ne ha poi mantenuto vivo lo spirito che oggi si ritrova al summit internazionale, il terzo organizzato fino a ora.
Il g0v summit 2018 è un efficace termometro delle tendenze globali in materia di civic tech, ma è soprattutto un mezzo per conoscere quali forme sta assumendo l’attivismo tecnologico in Asia.

Tra i temi più rappresentativi, senza dubbio quello di rendere trasparenti, aperti e responsabili governi e istituzioni, tema che peraltro mi ha portato a Taipei, invitato al summit a presentare la campagna #candidatitrasparenti che Riparte il futuro conduce dal 2013 in occasione delle elezioni politiche e locali italiane. Seppure in un contesto molto più complicato, anche la piccola comunità tech del Myanmar ha creato piattaforme digitali in cui poter trovare in formato accessibile e chiaro i nomi dei candidati alle elezioni, l’attività parlamentare svolta, il budget di Parlamento e governo. Sempre più spesso, e non solo in contesti periferici, la principale sfida è di “(ri)educare” alla politica, aiutando i cittadini a riavvicinarsi, informandosi anche grazie all’uso della tecnologia. Ma i cittadini consapevoli possono (o dovrebbero) essere i più giovani, come ha dimostrato un gruppo di studenti appassionati di software e democrazia che è riuscito a imporre il voto elettronico per eleggere i rappresentanti alla National Taiwan University, la principale istituzione accademica del Paese in cui i risultati delle elezioni non sempre erano parsi trasparenti. Per evitare altri tipi di frode è nata in Nigeria l’organizzazione Follow the money, che si impegna a tracciare e rendere chiare le spese del governo e degli aiuti internazionali nelle aree rurali, cercando di prevenire corruzione, uso improprio del denaro pubblico e, soprattutto, di capire se i reali beneficiari dei progetti sono le popolazioni locali.

Molti panel hanno cercato invece di dare risposte concrete alla progressiva erosione della fiducia verso le istituzioni, problema che sta assumendo un volto sempre più globale. La tecnologia può contribuire ad arrestare la frenata della democrazia, mobilitando masse che sembrano sempre più distanti e apatiche? Risposta affermativa secondo i sudcoreani di Parti, organizzazione basata a Seoul che ha lanciato piattaforme digitali destinate a rafforzare i legami tra rappresentati e rappresentanti: possibilità di presentare petizioni pubbliche, canali di comunicazione preferenziali tra cittadini e funzionari pubblici, strumenti per co-creare le decisioni comunali a Seoul. Anche in Brasile si tenta di correre ai ripari: il progetto Mudamos, sviluppato da un istituto universitario di Rio de Janeiro, è diventato una app virale attraverso la quale i cittadini possono votare le proposte di legge avanzate da altri cittadini. Il successo dell’iniziativa ha dimostrato che c’è molta voglia di partecipazione dal basso: gli strumenti digitali possono aiutare a incanalarla e moltiplicarla. Lo dimostra anche il successo di quei siti – sempre più numerosi in ogni continente, dedicati al budget partecipato: utili non solo a spiegare come le amministrazioni spendono i soldi dei cittadini, ma anche a creare canali collaborativi tra chi governa e chi è governato, lasciando spazio a questi ultimi di far emergere esigenze e necessità delle comunità.

Il g0v summit 2018 ha dedicato molto spazio anche agli open data, potenziali driver di progresso, ormai indispensabili per migliorare le decisioni collettive e, certe volte, per salvare vite umane. Nell’area del Mekong (Thailandia, Myanmar, Laos, Vietnam, Cambogia) si sta sviluppando una piattaforma open data multilingue, Open Development, che si propone di raccogliere e mettere a disposizione di cittadini, giornalisti, investitori quanti più dati disponibili su una molteplicità di materie, che vanno dall’ambiente alle statistiche socio-economiche fino al funzionamento dei servizi pubblici. Facilmente visualizzabili anche grazie all’impiego di mappe interattive, i dati servono alla comunità per assumere decisioni migliori perché informate e consapevoli. È quello che si sta cercando di fare a Kahosiung, la seconda principale città taiwanese, dove un’accurata analisi dei dati relativi al servizio taxi sta aiutando i tassisti locali ad assumere comportamenti più razionali e friendly nei confronti degli utenti, facendone aumentare i profitti. Ma i “dati” hanno un’importanza sempre più vitale durante le catastrofi naturali: lo dimostra OpenStreetMap, una mappa aperta costruita grazie alle segnalazioni degli utenti, che anche nel corso dell’ultimo terremoto indonesiano sono state indispensabili agli operatori umanitari per tracciare le necessità dal basso e individuare in tempo reale i presidi sanitari agibili, i luoghi di soccorso.

I tecno-entusiasti taiwanesi non hanno tralasciato di dedicare spazio al lato oscuro della rete, portando il caso degli attivisti birmani che pochi mesi fa si sono rivolti direttamente a Mark Zuckerberg, chiedendo che fermasse (o meglio, filtrasse) le ondate di odio che andavano diffondendosi sui profili dei cittadini della repubblica asiatica, per i quali internet e Facebook sono una cosa sola. Ma i vantaggi delle nuove tecnologie surclassano ampiamente i rischi e, se sapremo usarle al servizio dei cittadini, potranno cambiare il mondo: è quel che ha ribadito Audrey Tang, giovane ministra “digitale” all’innovazione sociale di Taiwan, creatrice di software e già attivista di g0v, convinta che l’unica nazione di cui davvero abbiamo bisogno sia la rete, purché essa si mantenga libera, aperta, trasformativa e potenzialmente rivoluzionaria.

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