Anni di tassi rasoterra non potevano che provocare (e lo faranno anche in futuro) notevoli cambiamenti nel costume degli investitori spingendo allo stremo quella “fame di rendimento” che è la madre di tutte le esagerazioni finanziarie alle quali ci ha abituato la storia, ma che adesso, in tempi in cui spuntare un tasso onesto è estremamente difficile, sono diventate endemiche.
Uno dei tanti indizi di questa auri sacra fames è la notevole crescita della cosiddetta leveraged finance, che comprende le obbligazioni ad alto rendimento (ossia la controparte del rischio) e i prestiti ad alto grado di leva (leveraged loan). Le dimensioni di questa finanza sono sostanzialmente raddoppiate dall’indomani della crisi del 2008 come si può osservare dal primo riquadro a sinistra del grafico sotto.
Il boom di questi prestiti è dipeso sostanzialmente dalla domanda degli investitori che è stata, come spiega la Bis nella sua ultima rassegna trimestrale, “una determinante importante della recente espansione dei prestiti leveraged”. Non solo. Gli investitori, pur di spuntare qualche decimale di rendimento in più, sono stati anche disposti ad accettare un minore protezione contro il deterioramento della capacità di rimborso dei debitori, allentando quindi le clausole dei contratti. E questo spiega il notevole aumento dei prestiti covenant-lite (secondo box da sinistra), che ha raggiunto il massimo a fine 2017. “Inoltre – sottolinea la Banca -, la forte domanda degli investitori per i prestiti leveraged ha favorito l’attività di rifinanziamento. Negli Stati Uniti, per esempio, il rifinanziamento del debito ha rappresentato il 60% delle emissioni di prestiti leveraged istituzionali dal 2015. Questa quota è cresciuta nella prima metà del 2018. Tutto ciò è in linea con la ricerca di rendimento da parte degli investitori in un contesto di bassi tassi di interesse”.
La finanza leveraged ha potuto fruire anche degli sviluppi del mercato delle cartolarizzazioni, visto che le banche riescono con facilità a “impacchettare” queste obbligazioni e venderle ai mercati. In particolare c’è stata una notevole crescita delle collateralised loan obbligations (CLO) (terzo box da sinistra) negli ultimi due anni. Le cartolarizzazioni c’erano anche prima della grande crisi, ovviamente. Ma a differenza di allora, quando questi arnesi circolavano sostanzialmente all’interno del sistema bancario, adesso le nuove regole obbligano le banche a disfarsene in gran parte. Poco male: là fuori c’è la fila di acquirenti potenziali. Specie da quando è stata abolita la regole che obbligava i gestori dei fondi specializzati in CLO, come accade per le banche, a tenere solo piccole quote di questi attivi nei loro bilanci. Inoltre ci sono i fondi comuni di prestiti (terzo box da sinistra) la cui notevole crescita dal 2016 ha ulteriormente fatto crescere la domanda di attivi rischiosi ma remunerativi. “In modo più generale, il mercato del credito leveraged ha tratto vantaggio da un contesto macroeconomico favorevole e da mercati azionari forti. Negli Stati Uniti, quasi il 40% delle emissioni di prestiti leveraged istituzionali dal 2015 è ascrivibile a ristrutturazioni societarie come fusioni, acquisizioni e operazioni di leveraged buyout”, spiega la Bis.
Il problema è che questa giostra gira finché gira il credito facile, ossia la fiducia. “Con la maturazione del ciclo economico, tuttavia, – osserva ancora – gli investitori potrebbero iniziare a subire delle perdite. Il tasso di insolvenza dei prestiti leveraged istituzionali negli Stati Uniti è passato da circa il 2% di metà 2017 al 2,5% di giugno 2018. In prospettiva, con la normalizzazione della politica monetaria, il profilo a tasso variabile dei prestiti leveraged potrebbe causare insolvenze”. Succede quando d’improvviso si ricorda che all’alto rendimento corrisponde un rischio altrettanto elevato e si scopre di non essere più disposti a tollerarlo. “In una fase di rallentamento i declassamenti di alcuni prenditori BBB a un rating BB o inferiore, ovvero ad alto rischio, potrebbero portare alcuni investitori a liberarsi di questo debito”. E poiché si tratta di asset relativamente illiquidi, ciò potrebbe avere influenze negative sui prezzi, deprimendo i fondi comuni, che sono grandi acquirenti, e quindi incentivando le richieste di rimborso e aggiungendo ulteriore pressione sui prezzi. Il copione è sempre lo stesso. “Queste dinamiche potrebbero colpire non solo gli investitori che presentano questo tipo di esposizioni ma tutta l’economia nel suo complesso, tramite un blocco dei flussi dei fondi verso il mercato del credito leveraged”, avverte la Bis. Ma tanto nessuno ci pensa finché non succede.
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